Incompreso

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Pipì e cattiveria
Il ciclista è Chris Froome, più semplicemente Froomie per gli amici, Mr. Frullino per molti di noi, soprattutto italiani e francesi. Celebri le sue accelerate imbarazzanti in salita, a mo’ di sbattitore di uova, capaci di mettere a tacere interi Tour de France.
Il povero Chris ha sempre avuto un piccolo problemino però.
Non era simpatico. I tifosi francesi, sciovinisti e ancora in attesa di un messia degno della loro corsa (Alaphilippe non era ancora il Dartagnian che avremmo conosciuto) lo hanno odiato. Ettolitri di urina tiepida, raccolti in bottigliette di plastica, pronti ad essere scaraventati in faccia allo sventurato keniano bianco lungo i tornanti pirenaici. E poi: insulti (dopato dopato!), tentativi di vera e propria aggressione fisica, mal contenuti dal servizio d’ordine. Per tacere della rovinosa caduta per colpa di una moto, e successiva corsetta a piedi per non perdere la maglia gialla, nella pineta che conduce allo Chalet Reynard. Provenza, 6 chilometri prima della vetta del Mont Ventoux. Ma cosa aveva mai fatto di tanto grave questo biondo e anoressico ragazzo venuto dall’Africa e naturalizzato inglese?
Persino Lance Armstrong, il re dei bari, il capo degli arroganti, era stato più amato in carriera. Accolto prima con diffidenza, poi amato e portato in trionfo. E chi se ne frega se poi, una volta ritirato, avrebbe confessato il doping di squadra. E che importa se non verrà mai più invitato, nemmeno come ospite o inviato, dagli organizzatori della corsa francese, in quanto “persona non gradita”. Finché ha corso, Lance è stato amato. Incluse le sue bizze da spaccone yankee e i gesti da autentico ganster del pedale, rivolti a chiunque nel peloton avesse la malaugurata idea di opporglisi.
No, nemmeno Mr Armstrong, aveva ricevuto il piscio in faccia.

 

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Fatti delle domande, datti delle risposte
Ma allora, Chris, cosa aveva fatto per meritarsi tanta cattiveria? Andava forse troppo forte in salita?
Sì.
Era esploso troppo all’improvviso, dopo anni di anonimato, per essere credibile?
Affermativo.
Era inglese e meno “figo” del suo predecessore dandy, e primo britannico a trionfare ai Campi Elisi, Bradley Wiggins?
Oh, yes.
Aveva uno stile pessimo in sella, lontano anni luce persino dal minimo sindacale per essere un ciclista degno della Grande Boucle?
Ça va sans dire.
Aveva fatto suoi i dettami, sacri, di Merckx, di non fare calcoli, e di provare a vincere sempre e comunque, anche si trattasse della corsa di paese o della coppa Cobram?
Ovvio che no.
Risultato: bocciato. A priori. Nemmeno rivedibile. Nessuna seconda opportunità.

 

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Dove vai se il phisique du role non ce l’hai?  
No, questo ragazzetto diafano e dall’aria malaticcia, che mangia solo barbabietole in un motorhome presidiato come Fort Knox, in un ambiente perfettamente sanificato (chissà che farà adesso, tra l’altro), non poteva – non doveva – emozionare. Era l’antitesi del ciclismo.
Persino in patria, gli inglesi non lo amano: gli preferiscono ovviamente Sir Brad, o al massimo i gemelli Yates e hanno esultato quando a portargli via il titolo nel 2018 è stato Geraint Thomas. Froome lo vedono come un intruso, un imbucato a un party cui non è mai stato invitato. Un corridore costruito in provetta, un alieno poco umano e molto da laboratorio. Sì vince, è forte, ma è tutto calcoli e zero emozioni. Rulli e prove nel tunnel della manica come fosse una galleria del vento (lo fece davvero, Chris, per prepararsi al Tour del 2014).
Questione chiusa.

 

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Maledetta primavera
Poi, un giorno di maggio, in diretta tv, tutti lo vedono scattare sotto i tiepidi cieli italiani già estivi. Presto, molto presto: mancano un fottio di chilometri all’arrivo di tappa. E lui? Lui fa come Coppi nella Cuneo Pinerolo, come Chiappucci al Sestriere. Sbaraglia ogni previsione, sul Giro e, soprattutto, sul suo conto. Diventa Mandraken e si immola quasi come Pantani sul Galibier. Chi lo avrebbe mai detto.
Tutti ammutoliti, i bookmakers in tilt, i tifosi inglesi colti in fallo.
Lo vedono tutti l’oblungo e inelegante rettile del pedale rendersi protagonista di una fuga incredibile, “d’altri tempi” come si ama dire. E la cosa accade alla sua prima partecipazione al Giro d’Italia, messo nella sua “bucket list” dopo aver vinto 4 Tour de France e 1 Vuelta a Espana. Wiggins, per intenderci, nella sua triste e fallimentare campagna italiana (anno di grazia 2013) si era ritirato dopo una discesa a saponetta sotto la pioggia.
Qualche mese dopo, Chris Froome posta foto delle distese rosse del Kenya, mentre pedala da solo: sembra uno di noi, si dicono i cicloamatori di tutto il mondo. E guarda che posti!
Poi apprendono di una brutta caduta durante la ricognizione di una tappa (per giunta di una corsa minore). Leggono, dapprima “partecipazione al Tour de France 2019 in dubbio”, poi “forfait” e infine “carriera a rischio”. Caduto perché si stava soffiando il naso, pare, proprio mentre una folata di vento laterale gli faceva perdere il controllo del mezzo. Femore e altre rossa rotte, fracassate. Nessuno vede le immagini in diretta tv. Nessuno intuisce davvero la gravità dell’incidente. Nemmeno lui, Froomie, che posta in fretta e furia selfie a raffica dalla camera di ospedale, subito dopo l’intervento riuscito, con il pollicione verso l’alto.
No, caro Froomie, quello è l’orlo del baratro. E il popolo inglese lo capisce prima di lui e cambia idea. Prende a seguirne le vicende con il fiato sospeso, inizia ad amarlo e coccolarlo il suo campione sfortunato. Chissà, forse perché forse ogni ciclista, ogni grande di questo sport maledetto da Dio, deve avere le sue stigmate. Le sue cicatrici di guerra. O forse, più semplicemente perché, come dice Bruce Springsteen, “nella vita nessuno se la cava senza graffi”. Ma Chris sorride e guarda avanti. Giura che tornerà a vincere. E la gente fa il tifo per lui.
E chi se ne importa se quando pedala sembra abbia due zampe di gallina. Forse ci siamo sbagliati, forse, dopo tutto, Froomie era soltanto timido. Altro che nuovo Armstrong. Altro che frullino maledetto. Magari la pipì potevamo non tirargliela in faccia e rovesciare le bottiglie nel prato. Adesso, speriamo torni e vinca davvero, per la quinta volta, il Tour de France. Come Merckx, come Anquetil, come Hinault, come Indurain, come solo i grandi campioni.

Foto: cilistapericoloso, chris froome