Non voglio cambiare canale

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No, Vasco No
Sgomberiamo il campo: non sono un fan di Jovanotti. Ancora impressa troppo a fuoco nella retina l’immagine, non proprio intellettuale, del ragazzone con il cappellino “Boy”  in testa e il faccione sorridente. Mai avrei immaginato che un giorno sarei rimasto in piedi fino alle tre del mattino a guardare inebetito un suo docutrip su un viaggio in bicicletta.
S’intitola Non voglio cambiare pianeta, citando il verso di una celebre poesia di Pablo Neruda. Sono 16 puntate, 10-15 minuti ciascuna non di più, la giusta durata per il web. Sono visibili tutte gratuitamente sula piattaforma streaming Rai Play.
Si tratta del racconto, filmato e montato da Jovanotti medesimo, del suo viaggio, fatto tra gennaio e febbraio in Sud America. Dal Cile a Buenos Aires per la precisione, 4000 chilometri lungo la Panamericana, attraversando le Ande, a bordo di un mezzo di 40 chili (bagaglio e borracce comprese, ma comunque tantino). Un’esperienza mistica, o “musicale” – come dirà lui stesso – incrociando animali mai visti, paesaggi incredibili e ascoltando silenzi belli e impossibili. E, soprattutto, lasciandosi andare (questa la chiave del programma) a pensieri liberi e “a pedali”, recitati a voce alta. Fosse anche solo per farsi compagnia: per lunghi tratti in quota (arriverà a 5000 metri) Jovanotti non incontra anima viva.
Il tutto filmato con una semplice GoPro, montata sul manubrio della bici e talvolta tenuta in mano o poggiata sul comodino di un stanza in un vecchio motel. Eppure la qualità delle immagini è assolutamente strepitosa, dall’inizio alla fine. Un risultato pressoché perfetto, che restituisce, credo (nel senso che io non ci sono mai stato), la bellezza incredibile di questi posti come nemmeno un documentario di NetGeo Wild.
Avevo leggiucchiato qualche anticipazione di Non voglio cambiare pianeta, mi avevano poco convinto, quasi per niente. Perché questo viaggio? Perché adesso? E che ne sai tu, poi, della bicicletta?
Quanti documentari, quanti libri, quanti blog, abbiamo già visto, letto e sentito su viaggi di questo tipo? Cosa può aggiungere uno fatto da Jovanotti?

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E invece sì
E invece Non voglio cambiare pianeta è un meraviglioso regalo di Natale. La scelta di raccontare la libertà, la natura, nel momento in cui più sono a rischio, si è rivelata perfetta. Non poteva sapere, ovviamente, Jovanotti, cosa ci sarebbe accaduto. Non a gennaio.
Eppure è proprio qui che arriva l’intuizione che rende il suo docutrip ancora più prezioso. L’aver presagito che proprio la dimensione solitaria, meditativa, introspettiva dello sport (e del viaggio, che lo sport da sempre è) sarebbero potuti diventare il nostro futuro. Il viatico verso una nuova vita.
Non voglio cambiare canale! Questo è quello che ho pensato alle 3 di notte, insonne, dopo l’ultima puntata. Questa la droga che volevo continuare a prendere.
Pronti, partenza, via. L’ho capito quasi subito. Dal primo episodio, quando Lorenzo attacca a pedalare e – quasi fosse un gesto consequenziale – a parlare di Pantani. Lorenzo parla del Pirata, del mio eroe, come nessuno c’era mai riuscito prima: “volevo bene a Marco, parlavamo tanto, mi chiedeva del mio mestiere, pensava già a cosa avrebbe fatto quando si sarebbe ritirato” E la sensazione – come anche Aldo Grasso, dalle pagine del Corriere, ha notato – è quella che quel qualcosa potesse essere questo viaggio. Marco e Lorenzo, assieme in Sudamerica. Via da tutto. Via da tutti.
L’avventura di Jovanotti, inizia, simbolicamente così, proprio il giorno del cinquantesimo compleanno di Pantani, 13 gennaio 2020. Una specie di benedizione di partenza.

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Fino alla fine del Mondo
Il deserto cileno è sconfinato, di notte fa freddissimo, di giorno, appena il sole sale, ci si abbrustolisce la pelle che ci si potrebbe cuocere un uovo. Lorenzo ne porta le stigmate: cosce e polsi ustionati, viola. Come il più goffo degli umani.
La tenda piantata in mezzo al nulla, ghiaccia di notte, viene ripagata al mattino da un’alba sconvolgente. Immagini nitide, perfette, straordinarie. Vorrei essere – letteralmente – lì, in quel momento. Quelli di Jovanotti – penso – sono anche i miei, i nostri sogni ciclistici di sempre. Lui ce li ha solo messi davanti agli occhi.
E, a proposito di occhi, c’è un film di Wim Wenders, Fino alla fine del mondo (1991), che ho amato moltissimo.
Dopo una prima parte on the road e tutto sommato più scontata, nella seconda, la pellicola dà il meglio di sé, prende il volo.
Lo fa grazie a una straordinaria intuizione: i protagonisti, finiscono in una radura desertica che pare la terra del fuoco cilena di Jovanotti.
Qui vengono drogati dai loro stessi sogni, proiettati su un dispositivo che preconizzava (anche qui senza saperlo) l’avvento dei tablet. Uno schermo touchscreen che consente di vedere la propria attività onirica, di incontrare i propri sogni e – ovviamente – incubi. La gente perde letteralmente la testa per quelle immagini dell’inconscio e ogni legame con la realtà non ha più senso. Tutti si appiccicano letteralmente a quegli schermi visionari. Non vogliono più vedere o sentire altro.
Davanti alle immagini di Non voglio cambiare pianeta io mi sono sentito così. In trance. Fotogrammi coloratissimi e intensi, quasi profumati: avrei voluto non finissero mai. La loro musica mi è stata dolce. Perché quello che Jovanotti racconta in questo viaggio corroborante è quello che secondo me ognuno di noi vede se chiude gli occhi in questo momento. Esagero? Forse. Oppure più semplicemente, sono in preda a un miraggio da quarantena.

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Bukowski, Herzog e l’arte del viaggio
Ma c’è di più in questa miniserie in pillole. Ogni episodio ha un filo conduttore letterario ben preciso: poesia, romanzo, racconto, canzone. I riferimenti sono “liberi”, via dai condizionamenti. Lorenzo cita chi gli pare, pescando in modo schietto e personale tra gli scaffali di casa sua: si va da Bukowski a Werner Herzog. Il tutto condito da scorci impagabili sulla natura, e i suoi soli abitanti: i lama. Lorenzo arriva fino a 4800 metri di quota. In una terra che, nonostante il freddo, pare caldissima. Come il ghiaccio secco. Ha qualche difficoltà respiratoria, si ferma in una base militare in altura, batte i denti, indossa una calzamaglia lunga e riparte. Si mette a cantare “vivere senza malinconia!”, un classico della canzone italiana, rivisitato da Jannacci.
Non importa condividere o meno ciò che cita. Quel che conta qui è la freschezza della scelta. L’assoluta schiettezza e sincerità che trapela dai movimenti della sua bicicletta e delle sue labbra. È come se quel mezzo fantastico lo avesse liberato, togliendo un tappo da un tombino malchiuso. E se ne accorge lui stesso: “ragazzi questa roba è come la musica”. Non c’è bisogno di citare Foscolo o Leopardi, Goethe o Nietzsche, è un’euforia di fondo, quella di chi pedala. Democratica, senza differenze.
E non posso fare a meno che pensare che quando le cose si fanno in modo libero e sincero, gli altri lo sentono subito. A pelle. Se ne accorgono, anzi, persino prima di te. Il prodotto finale è assolutamente godibile e rotondo, “Non voglio cambiare pianeta” arriva per così dire rotolando, senza fatica, nelle mani, anzi negli occhi, dello spettatore. Poi sta a lui/lei tenerselo stretto, e farne buon uso.
In fondo, ne sono convinto, ci fossero ancora Peter Fonda e Dennis Hopper, oggi andrebbero in bicicletta e non in moto.
Per conto mio: grazie davvero, Lorenzo.

Chi vuole vedere “Non voglio cambiare pianeta” di Jovanotti, lo può fare subito qui