Go!

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Usciamo, usciamo!
Uscirà martedì 29 maggio “Gli italiani al Tour de France”, il mio nuovo libro (Utet).
Assieme a me lo hanno scritto un po’ Savinio, un po’ i Kraftwerk, un po’ Michele Mari (che ringrazio personalmente per molte ispirazioni), un po’ Pantani, un po’ Alberto Tomba, un po’ Totò Schillaci, un po’ Marcel Proust, un po’ Freud, un po’ i Pink Floyd, un po’ Zuckenberg, un po’ i minatori del Nord della Francia, un po’ i soldati italiani nella Grande Guerra sul Piave, un po’ il Galibier, un po’ l’Alpe d’Huez, un po’ la mia nonna e i suoi 98 anni per cui, mentre scrivevo, ho fatto il badante, un po’ la sua badante, moldava; un po’ mio papà che lo ha letto spesso in anteprima, magari mentre non se la passava benissimo, un po’ i miei figli che hanno finito per comprarsi il gioco del Tour de France per la PlayStation e mia moglie che ora ne sa più di Nencini che di Obama. Un po’ l’ho scritto io di giorno, un po’ l’ho fatto di notte, mentre nell’insonnia mi barcamenavo in uno strano stato pre-onirico, cercando di fuggire ai sonniferi. Un po’ credo lo abbia scritto anche Emanuele Pirella, mio maestro unico, caro hai visto come sono diventato grande? Un po’ lo ha scritto anche la mia  smania di non accontentarmi di pedalare, ma di volerne anche parlare in continuazione, spesso preda di un’eccitazione febbrile, un po’ gli amici di “Velobar” e del Cassinis Cycling Club: è stato bello accapigliarsi per una maglia gialla e una corsetta di Froome sul Mont Ventoux. Un po’ lo ha scritto anche la mia mamma, che non ha smesso di parlarmi in milanese nemmeno oggi, preoccupandosi spesso che la bicicletta mi facesse troppo dimagrire. “Te podi no vedè inscì magher”. Un po’ lo ha scritto anche Francesco Colombo, cui ho solo fatto in tempo ad accennare cosa avevo in mente, che lui ha ha deciso di andarsene prima. Ciao Checchino, questo è anche per te.
Ma soprattutto l’ho scritto io, in qualche misura. O, almeno, credo.

Ma veniamo al libro. 
Ecco, appunto. Stavo per dirlo. Basta chiacchierare e sbrodolarsi addosso.
Stavolta mi sono spinto un po’ più in là delle precedenti. Non credo infatti questo sia semplicemente un saggio. Anzi, per dire la verità, oserei dire – ne ho la pretesa – che mi sia venuto fuori quasi un romanzo. Parolone, vedremo. Giudicherete voi. Ma intanto, sapevatelo.
Ho provato a fare parlare 11 ciclisti in prima persona. Tutti hanno corso, chi vincendolo, chi mancandolo clamorosamente, ma tutti emozionandoci, il Tour de France. La corsa più importante, bella e pazza al mondo.
L’uso del discorso diretto è stata un’avventura. Di più, forse un viaggio vero e proprio, un processo di identificazione intenso e pressoché totale con le loro storie. Non facile da reggere, lo ammetto.
È avvenuto per gradi. Ho sofferto, gioito, faticato con loro e, in qualche misura, mi sono immedesimato in stati d’animo che mi appartenevano, evidentemente inconsciamente. È stata una bella traversata, non c’è che dire. È il libro, di quelli scritti sinora, di cui sono più contento.
Sono le confessioni, gli sfoghi persino le incazzature, spesso nere, di 11 ciclisti italiani (sì, ovviamente c’è anche Bartali, sigaretta in bocca). I capitoli sono 15. Alcuni ciclisti, va da sé, ne hanno due. Non significa siano più importanti degli altri. Significa semplicemente che erano, o sono, più chiacchieroni e prolissi (come il sottoscritto).
Le parole che metto loro in bocca o in testa obbediscono a una libera scelta creativa e non vogliono in alcun modo avere un valore documentario. Vogliono piuttosto restituire l’importanza che il Tour de France ha avuto nelle loro vite. Perché una cosa li accomuna tutti: nessuno è tornato da quel viaggio uguale a come era partito. Io compreso.
#StayTuned.
#ItalianiAlTourDeFrance
#Dal29maggio

“Gli italiani al Tour de France” (Utet) dal 29 maggio in libreria e ebook.

Illustrazione copertina: Riccardo Guasco
Progetto grafico: xxy studio