Major Tom to Ground Control (Part. 3)

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Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana da Gerusalemme…

Mentre quelli salgono a turno sulla graticola, alias “pedanetta” della cronometro, in quel della Città Santa, ultimo a partire proprio lui, Tom Dumoulin da Maastricht, io vi racconto il 3° episodio della sua saga al Giro del 2017. Come sapete infatti il mio editore olandese mi ha chiesto di scrivere un ritratto aggiuntivo per la nuova edizione de “Il carattere del ciclista” in uscita imminente nel loro paese. Ovviamente trattasi di ritratto dedicato al loro beniamino locale, vincitore del Giro d’Italia dell’anno scorso (foto sopra), Tom Dumoulin: il “predestinato”.
Per i lettori italiani, ho scelto di riportare l’intero racconto anche sul mio blog, in 3 puntate. L’altro ieri la prima, ieri la seconda.
Inutile dirvi che Tom, dopo aver vinto l’edizione 100 del Giro, farà un serio pensierino anche per la 101. Vediamo come si comporta intanto oggi, tra poco, a Gerusalemme.

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Il predestinato: Tom Dumoulin – part. 3
Sei partito. Vento in faccia, cielo blu, asfalto rosa. Piazza del Duomo ti attende multicolore con il suo abbraccio forte e irresistibile. 
Sai che a ogni chilometro che percorri devi anche spingere un po’ di più: con il tuo direttore sportivo avete concordato la strategia. La matematica parla chiaro: ce la puoi fare, a patto però di non mollare nemmeno un centimetro. Devi sfoderare una prestazione maestra, senza precedenti.
Avete stilato una lunga e scrupolosa tabella, asfissiante per certi versi, utile per altri. Nulla è stato lasciato al caso: rotonde, incroci, curve pericolose, traiettorie dove rilanciare, punti strategici dove guadagnare decimi di secondo. Avete calcolato a che velocità devi andare e in che punto esatto dovrai essere e a che media.
A proposito di medie, avete chiaramente passato in rassegna anche quelle tenute dai tuoi avversari nelle precedenti prove contro il tempo. Avete valutato il loro attuale stato di forma, soppesato le caratteristiche del percorso e incrociato i dati. Alla fine, quasi fosse un’equazione aritmetica, avete tirato le somme. Devi vincere tu, non c’è altra scelta.
Dovrai pedalare come se andassi a prendere il treno più importante della tua vita.
C’è un po’ di vento, in alcuni tratti ti viene contro, in altri invece ti sospinge. Resti fermo, ben piantato sulla sella, quasi fossi incollato con il vinavil. Procedi come un metronomo, stantuffi, macini chilometri, divori incroci e rotatorie.
Presti massima attenzione alle curve, molte sono così strette e improvvise – soprattutto nel centro storico – che vengono i brividi solo a guardarle. E poi le piazze: Milano ne è piena. Ma tu sai individuare anche lì la giusta traiettoria, sfiori, fino a farle vibrare, le transenne che contengono la massa traboccante di tifosi. Complice la giornata da urlo e l’incertezza finale della corsa, ce ne sono tantissimi: bandiere olandesi si mischiano a colombiane, francesi, persino polacche.
Le tue ruote – in carbonio e ad alto profilo –  fanno un rumore assordante, ti entra nelle orecchie e non ne esce più. Sembri un jet che decolla sulla pista, reattori alla massima potenza. Procedi come una lepre, buchi l’aria, ti fa spillo aerodinamico in mezzo alle correnti. Rilevamenti alla mano, hai rispettato tutti i tempi previsti. L’ammiraglia ti aggiorna: se vai così Tom, è fatta.
Ma tu non vuoi sapere niente. Comunichi perciò al tuo direttore sportivo di fare silenzio. Di segnalarti soltanto buche, sassi o eventuali borracce lasciate cadere, da chi ti precede.
Quintana, molto più leggero di te, con questo venticello svolazza da una parte all’altra, perde secondi preziosi. Nibali e Pinot, passisti e scalatori ma non certo cronoman, vanno in affanno.
E allora, come ti avessero acceso un reattore aggiuntivo, acceleri ancora. Mentre guadagni i Bastioni di Porta Venezia e ti incunei alla perfezione davanti ai Giardini Montanelli, ti ragguagliano un’altra volta: meglio di così non puoi andare.
“Ma ce faranno a stare zitti, sant’Iddio?!” borbotti tra te e te.
In piazza San Babila c’è una delle ultime curve, forse la più pericolosa di tutto il tracciato. Dire che è a gomito è essere ottimisti. Eppure tu, quasi fossi impazzito, imprimi ancora più forza sui pedali. Non smetti di far girare le gambe nemmeno per un secondo, nemmeno mentre pieghi sfiorando con il ginocchio l’asfalto. Non ti concedi il lusso di rallentare.
La tua borraccia è ancora piena: in 29 chilometri di velocità supersonica non hai fatto nemmeno un sorso. Anche quello – hai pensato – avrebbe potuto ritardarti, renderti meno aerodinamico, più lento.
Ed ecco il celebre “Disco”, la scultura realizzata da Arnaldo Pomodoro e posta in piazza Meda: ti hanno detto che è appena prima del traguardo. La doppi ed entri in Corso Vittorio Emanuele, sul suo selciato insidioso. Sono gli ultimi trecento metri di Giro d’Italia. Alla tua sinistra appare il Duomo in tutta la sua magnificenza: quella cattedrale bianca e appuntita, con il cielo e la luce di questo momento – pensi – è ancora più bella.
Il cronometro si ferma: hai fatto registrare il secondo miglior tempo assoluto del giorno, 33 primi e 23 secondi. Appena 15” più del tuo connazionale Jos van Emden, per altro lontanissimo in classifica generale. Adesso tocca solo vedere quanto ci metteranno Quintana, Nibali e Pinot.
I tuoi occhi corrono rapidi a cercare il monitor che trasmette le immagini della corsa in diretta. Qualcuno ti dice che è finita – hai vinto il Giro -, un compagno ti dà una pacca sulla spalla, un altro ti spintona. Tu resti immobile, impietrito davanti allo schermo.
Per un attimo ti passano per la testa le immagini peggiori: la sosta nei prati verdi ai piedi dell’Umbrail, la fatica per recuperare, la tensione di questi ultimi giorni. E poi gli allenamenti sfiancanti in inverno, le diete, i sacrifici, le notti insonni.  Sei giovane, la vittoria non hai ancora imparato a fiutarla in anticipo. Devi prendertela con le tue mani.
Quintana non ce la fa. Il suo ritardo è aumentato ancora negli ultimi chilometri. Più di un minuto e mezzo.
Il colombiano, dopo tutto, le curve non le può prendere come te, i rettilinei non riesce ad affrontarli con la stessa sicurezza e potenza. Le sue leve sono infinitamente più corte, meno esplosive e fiacche delle tue: sono muscoli affusolati i suoi, da ballerino delle alture più che da gladiatore. È un peso piuma Nairo, un uomo cresciuto sulle Ande, là dove l’aria è rarefatta e i sogni vivacchiano sopra le nuvole.
La classifica finale dice che hai vinto l’edizione numero 100 del Giro d’Italia. Quintana secondo, a 31 secondi, Nibali terzo a 40.
Il cielo milanese si è ora fatto di color zaffiro. Il caldo del primo pomeriggio ha lasciato il posto ad una leggera brezza serale, la città si compiace della sua bellezza ritrovata. Sembra che tutti i suoi abitanti siano accorsi qui, nella sua piazza principale, per festeggiare un ciclista venuto dal Nord. Un sogno ad occhi aperti, che vuoi condividere con i tuoi compagni di squadra, mentre sali sul podio e tieni stretto tra le mani il Trofeo senza fine”: questo il nome dato a quella strana coppa alta alta, e avvitata su se stessa.
Dietro il palco della premiazione, davanti all’Arengario – tra il Museo del Novecento e Palazzo Reale – con la coda dell’occhio scorgi qualcuno aprirsi un varco tra la folla. Gli uomini della security stanno facendo passare una bellissima fanciulla bionda, è spaesata almeno quanto te. Forse sono due le farfalle di Maastricht.

Foto: ©ciclistapericoloso (Milano, 28 maggio 2017, ultima tappa del Giro d’Italia 100)

“Il carattere del ciclista” (Utet 2016) in italiano qui.