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Les italiens al Tour: 1 – Botescià
Esce oggi, in libreria e eBook, il mio nuovo libro: “Gli italiani al Tour de France” (Utet).
Sono gli sfoghi, le invettive, persino i soliloqui, le tristezze e gli incubi, diurni e notturni, di 11 ciclisti nostri connazionali alla Grande Boucle, la corsa ciclistica più importante al mondo, nel corso di più di un secolo. Ho scelto di farli parlare tutti in prima persona, dando voce ai loro pensieri e alle loro inquietudini, qualche volta anche, certamente, alle loro gioie. Che il Tour, si sa, è il Tour. Mica il Giro. E gli italiani là, oltralpe, si sono sempre sentiti un po’ a disagio. Come dei migranti appena sbarcati a Ellis Island, con la valigia di cartone sotto il braccio e il berretto calato in testa. In Francia c’è cibo diverso, si parla una lingua diversa, le salite e le discese sono diverse (spesso senza paracarro), persino i cessi e i cuscini degli hotel hanno una forma diversa. Si resta spaesati, persino in soggezione, a volte si vorrebbe solo scappare dritti a casa con il primo treno, via Modane e poi Torino. Un disastro. Però, se poi resisti e magari vinci, anche fosse solo una tappa, lassù tra Pirenei e Ventoux, tra la Vandea e la Provenza, Parigi e Marsiglia, vuoi mettere il piacere?
Da oggi alla partenza della Grande Boucle 2018 (fissata per il prossimo 7 luglio), pubblicherò qui, a puntate, una serie di estratti dal mio libro “Gli italiani al Tour de France”. O, meglio, lascerò parlare loro. Gli 11 ciclisti in viaggio all’estero, che ne sono i protagonisti.
Il primo a prendere la parola, quest’oggi, sarà Ottavio Bottecchia, che il Tour lo vinse per primo, nel 1924 (bissandolo poi l’anno successivo). E che di fatiche se ne intende.
Vai, Ottavio, il microfono è tutto tuo.
Non venite a parlarmi di fatica. Non a me che ho fatto il soldato. Cosa volete che sia per me questa polvere qui delle strade, in confronto a quella dei mucchi di terra e dei muretti delle trincee? Al puzzo di sangue rappreso? All’odore del fuoco di fila delle mitragliatrici Maschinengewehr 08 che sparano 500 colpi al minuto? Immagini che ti si appiccicano alla pelle, che ti entrano nelle narici, che ti si aggrovigliano al cuore. Poi diventa difficile tirarle via. Non bastano acqua e sapone. Qui almeno la sera possiamo farci la doccia e ripulirci dalle fatiche. Non sempre l’acqua è calda e ci si deve adattare, ma con il sole che prendiamo tutto il santo giorno, vi mentirei se non vi dicessi che a volte è persino piacevole. Da mangiare ce ne danno in abbondanza – l’altra sera addirittura un granchio gigante su un letto di patate – e da bere, vino a volontà, e anche buono. Dopo tutto siamo in Francia. Insomma, c’è da farci la firma a stare qui. Chi dice il contrario non sa di cosa parla. Pensate che il primo giorno – ma farei meglio a dire la prima “notte” visto che partiamo all’una o giù di lì – nessuno ne voleva sapere di alzarsi da tavola. Eravamo tutti seduti a quel ristorante vicino a Porte Maillot, a Parigi, a gozzovigliare in santa pace. «Ancora un bicchiere, ancora un bicchiere!», urlavano i miei compagni di squadra già ebbri, mentre il direttore di gara ci faceva cenno che era ora di mettersi in marcia. No, date retta, la fatica è un’altra cosa, non è di certo il Tour de France (…)
CONTINUA SU “GLI ITALIANI AL TOUR DE FRANCE” (UTET 2018)
Copertina: Riccardo Guasco
Progetto grafico: Xxy Studio