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La tempesta perfetta.
Nuntio Vobis Gaudium Magnum.
Ho un nuovo obiettivo per il 2018. Questa è la notizia di giornata.
Me ne avevano parlato in tanti: amici che lo hanno già fatto e ne sono usciti cambiati per sempre, compagni di squadra saliti lassù e persisi nelle nebbie come pionieri, prima di ridiscenderne, lo avevo intravisto io stesso nelle mie peregrinazioni modalità “zapping ciclistico” sul web (occupazione dannatamente seria e impegnativa).
Fatto sta che alla fine mi sono accorto che nel mio palmarès mancavano troppe salite da quella parte delle Alpi: sono praticamente digiuno di tutto quel versante (sto parlando dell’estrema propaggine occidentale della nostra amatissima catena montuosa).
Certo, ho fatto il Galiber, il Col du Glandon, l’Alpe d’Huez. Ma non basta, la mia bicicletta parla ancora troppo poco francese.
Si tratta oltretutto di ascese intrise di storia, e nello specifico di Tour de France, laddove Coppi e Bartali hanno fatto gran parte del loro dovere, dove Vincenzo Nibali si è levato qualche soddisfazione di recente (Giro d’Italia 2016). Insomma colli importanti, dove si respira un’aria sopraffina, da sommelier o grand maître del pedale.
Potevo io, scrittore di ciclismo novello, pedalatore accanito, salitmoane incallito, restare a digiuno di tutto questo? No way.
E allora ecco – per il mio 2018 che bussa alle porte – l’occasione ideale. La tempesta perfetta.
Intendiamoci: non si tratta di una gara, non è una granfondo, non è una manifestazione organizzata, non ci sono date da ricordare o da segnare in agenda. Niente numero dietro la schiena, niente ansie da prestazione.
È solo un viaggio. Un’avventura. Decidi tu quando partire. E poi il resto viene da sé, sarai col vento in faccia in mezzo al mare, questo sì. Sappilo.
Beh, non è meraviglioso?
Le regole sono semplici: 360 km, 12.000 metri di dislivello, 48 ore di tempo.
l’Oetztaler al confronto (238 km e 5500 metri di dislivello) è una passeggiata, ed era il mio massimo sforzo ciclistico ad oggi.
Questa volta mi aspetta più del doppio del dislivello: 12 mila metri. Oltre l’Everest, oltre il K2. Un lungo allunaggio da fare a pedali.
È vero, avrò 48 ore di tempo a disposizione per compiere l’impresa, pause incluse. Ma bisogna abituare il corpo a reggere due sforzi prolungati di seguito: due giorni pieni sui pedali, ciascuno con più di 5000 metri di dislivello da fare.
In questo viaggio infatti si può scegliere se pedalare per 48 ore no-stop (o 24 se vuoi diventare Grand Maître) oppure – con più raziocinio – inframmezzarle con una notte in un B&B. Giusto per riprendere i sensi e rifocillarsi un minimo (ovviamente anche le ore di sonno, come quelle per ogni sosta, saranno conteggiate nel tempo finale). Per la cronaca: io opterò per la seconda soluzione.
Or Strava or it didn’t happen.
Per il resto, la faccenda è piuttosto semplice: tocca “solo” pedalare.
Già, ma come si dimostra di aver realmente compiuto l’impresa se non sono previsti chip e rilevazioni cronometriche? Nulla di più facile: una volta ultimata l’avventura, è sufficiente mandare una mail all’organizzazione con la traccia GPS del proprio percorso con il tempo. Come si dice tra noi ciclisti “Strava or it didn’t happen” (“O è su Strava o non è mai accaduto”).
Ma di cosa sto parlando? Dimenticavo di fare le presentazioni.
Cari lettori, ecco il mio obiettivo principe per il 2018: Il brevetto per entrare a far parte della esoterica Conférie des 7 Majeurs – “La Confraternita dei 7 Maggiori”.
Ove per “Maggiori” si intende i 7 colli che hanno fatto la storia del Tour de France e del Giro d’Italia. Ovvero le due maggiori competizioni a tappe del ciclismo.
Si tratta di 7 montagne dove la bicicletta è il mezzo di trasporto “naturale”. Quasi non esistesse altro modo per scalarle.
Fatti infatti salvi i brevi tratti di collegamento in fondovalle tra un colle e l’altro, di mezzi a motore in questa avventura si potrebbe anche non incontrarne mai. Si starà soli, into the wild, con il semplice ronzio delle due ruote. E lì si parrà la nostra nobilitate.
Ma veniamo a loro. I 7 fratelli: Vars, Izoard, Agnello, Sampeyre, Fauniera, Lombarda, Bonette. L’ordine può essere anche cambiato, a piacimento, purché il numero di colli rimanga lo stesso. Sette. Altrimenti niente brevetto, addio Confraternita.
Gnōthi seautón
Di questi passi so poco, quasi niente. E quello che so l’ho letto, i racconti – le testimonianze dirette – di chi ci è stato e li ha pedalati li ho ascoltati, un po’ come Senofonte prima di scrivere le “Storie”. Le immagini le ho viste, ho provato stupore: si prendano ad esempio gli scatti dell’amico Paolo Ciaberta (qui sopra Col d’Izoard e Colle dell’Agnello, sotto La Bonette). Istantanee bellissime, capaci di parlare da sole. Ma mi manca ancora ciò che più conta: l’esperienza diretta. Il toccare con mano. E magari scattare qualche foto anche io.
Così il dado è tratto: assieme a un amico, l’estate prossima, a luglio, partiremo armi e bagagli (letteralmente: una piccola borsa sottosella sarà fondamentale, ne ho già adocchiata qualcuna su web).
Andrò alla ricerca del ciclista che sono, a tu per tu con i mostri sacri dello sport che mi sono scelto. A respirare quell’aria, immergendomi fino al collo in un passato collettivo di cui sento di far parte anche io, se non altro come scrittore.
Una unica e grande famiglia o, per meglio dire, un’unica tradizione epica, fatta di Bottecchia, Coppi, Bartali, Nencini, Gimondi, Pantani e Nibali.
Una confraternita le cui regole sono semplici quanto antiche: occhi fuori dalle orbite, fatica – quella sempre – e una strana sensazione di essere sempre al confine, spesso valicandolo.
Migranti del pedale. Perché questo sono stati in fondo tutti i nostri connazionali alla Grande Boucle. Viaggiatori in terra straniera, in cerca di fortune migliori e sogni da riportare a casa in valigia.
Avremo modo di riparlarne, ora vado in letargo: agilità invernale, poi sotto con il dislivello da marzo.
Il neofita e l’impresa.
Due parole ora sul percorso (e sulla sua storia).
Carte alla mano, un buon punto di partenza sembrerebbe essere Vinadio, affrontando come prima salita il Fauniera, con il suo monumento a Pantani, una delle “presenze” sacre e più aleggianti di questa avventura nel tempo.
Proseguendo, faremmo quindi il Sampyere e poi l’Agnello, per concludere il primo giorno con l’ Izoard (versante Sud). Dopo la sosta per la notte dalle parti di Briancon, all’alba affronteremmo il Col de Vars, poi la Bonette e infine la Lombarda. Per ciascun colle ci sarebbero fiumi di parole da scrivere, ne metto nero su bianco solo poche.
Si prenda l’Izoard: qui dapprima Ottavio Bottecchia (primo italiano a vincere il Tour de France), poi Bartali e Coppi, hanno scritto pagine indelebili di ciclismo. Sono certo li incontrerò tutti, strada facendo.
Sul Col de Vars invece Bartali andò all’inseguimento di Robic, detto anche “Testa di vetro”: il francese credeva di essere in fuga, di aver seminato il “vecchio”. Bartali lo raggiunse, lo passò in discesa e lo schiantò definitivamente. Con quella sola impresa, Gino rivoltò in una sola tappa il Tour de France come un calzino, era il 14 luglio del 1948.
E il Colle dell’Agnello? Qui Vincenzo nostro ha capito per davvero (e per la prima volta forse) chi era davvero. Lo ha fatto in un antico e magnifico gioco di nebbia, trasformazioni faustiane e pianti liberatori.
Andrò là anch’io, mi farò piccolo, con umiltà cercherò di scalarli tutti e sette.
Sentirò cosa avranno da dirmi. Raccoglierò storie, racconti, sensazioni.
Cercherò il monumento di Marco in cima al Fauniera. Mi fermerò al suo fianco, sgancerò il pedale, gli dirò che penso spesso a lui, con una bava di vento in faccia che mi scompiglierà i capelli, oppure no: a quell’ora magari ci sarà un temporale, mi coprirò bene e affronterò con pazienza la discesa.
Farò tutto questo e altro ancora quest’estate a metà luglio con l’amico Daniele.
Scaricherò, come ogni aspirante neofita della setta, la mia traccia su Strava e la manderò alla Confrérie des 7 Majeurs. Decideranno loro se sono degno di diventare o meno nuovo Maître. Amen.
Maggiori informazioni su la Confrérie des 7 Majeurs qui
Photo credits: Confrérie des Les 7 Majeurs, Paolo Ciaberta
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