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Giro is coming.
Kafka, Froome e la Corsa Rosa.
Verrà presentato oggi il Giro d’Italia 2018, il centounesimo della storia per la precisione. Molta attesa, alcuni dubbi (la partenza in Israele) e qualche piccolo sogno segreto nel cassetto (anche se mooolto duro da realizzare), che però fa sempre bene avere: ci sarà anche Chris Froome?
Nel frattempo, propongo di riavviare il nastro cronologico e tornare indietro nel tempo, a quella prima grande, felliniana e fantasmagorica edizione del 1909. Partenza da Milano, la notte – folle – del 13 maggio del 1909. Allora, sulla linea dello start c’era Romolo Buni, il “piccolo diavolo nero”, che mandava in visibilio la gente (e la sorella, vestitasi a festa per l’occasione e scesa di corsa dalle scale contro il parere dei genitori). A fargli da contraltare, “Diavolo rosso” – Giovanni Gerbi, apprendista panettiere – che incuteva timore nelle folle per via di quel suo cranio rasato, inducendo i passanti a fare un rapido quanto prudente passo indietro. Insomma, quella notte, che a Milano sapeva misteriosamente di mare e di monti contemporaneamente, c’era il mondo. Un po’ come sulla piccola nave carica di personaggi che approda magicamente a New York nell”America di Kafka.
Ecco a voi da “Storia e geografia del Giro d’Italia” (Utet 2017) il primo capitolo: “Milano”. Dove tutto cominciò.
Tutta colpa di un rondò.
Due e cinquanta del mattino. Le vie adiacenti il Rondò Loreto sono ormai fiumi in piena. Stanno per esondare. I tifosi vengono contenuti a stento da carabinieri coraggiosi mandati allo sbaraglio. Quando i corridori partiranno, ci vuol poco a capirlo, i carabinieri verranno travolti dalla gente. Inevitabile.
Stravaccati con i panini al salame, distesi con i fiaschi di vino, in migliaia si sono vestiti a festa, e sono in attesa da ore, soltanto per questa notte magica. Vorrai mica dirgli di fare un passo indietro?
Riconoscere anche un solo corridore, per ciascuno di loro, significa tantissimo. Vuol dire poi poterlo andare a raccontare tra qualche ora in fabbrica, a scuola, o in ufficio.
Pensa, ad esempio, vedere anche solo per un minuto, uno come Romolo Buni, “Il piccolo diavolo nero”. Cosa non si farebbe per un istante di diavolo nero? Per quel ciclista milanese, minuto e dalla divisa scura come la notte, che ha fatto innamorare tutti soltanto qualche anno prima?
Il piccolo diavolo nero, il 21 giugno 1893, proprio qui a Milano, nell’Arena civica, aveva danzato come un ballerino. Su quella pista aveva ballato il tango e poi il flamenco e alla fine aveva suonato anche un po’ jazz. Tradotto in linguaggio sportivo, significa che aveva steso tutti i suoi avversari, tra cui il temibile francese Medinger, il più forte di tutti. Per farlo però aveva dovuto soffrire le pene dell’inferno, vedere i sorci verdi. Tanto che dalla folla, vedendolo in difficoltà, era salito uno strano incitamento: “Molla Buni!” aveva urlato qualcuno nel silenzio. Poi, qualcun altro l’aveva ripetuto, e poi qualcun altro ancora. Alla fine era un coro unanime: “Molla Buni! Molla Buni!”. E lui, Romolo Buni, a quel grido che conteneva il suo nome, da piccolo diavolo quale era, aveva capito tutto: doveva imprimere più forza sui pedali, oppure avrebbe perso. Avrebbe deluso tutta quella gente.
Così a ogni “Molla Buni!” aveva spinto più forte e poi più forte ancora, fino all’asfissia. Fino a vedere Medinger, quel maledetto osso duro francese, capitolare e addirittura ritirarsi.
Ma non bastava, il piccolo diavolo nero aveva continuato a pedalare, anche dopo il ritiro di Medinger. Giro dopo giro, aveva proseguito incurante, in perfetta solitudine. Nonostante avesse giù vinto. Così il “Molla Buni! Molla Buni!” si era trasformato da incitamento in saggio invito a fermarsi. “Fermati Romolo, fermati! Tanto hai già vinto!”. Niente da fare, Romolo non “mollava” proprio per niente. Doveva compiere la sua missione. Stabilire il record del mondo. Nulla lo avrebbe fermato. Nemmeno un “Molla Buni!” Come non innamorarsi di uno così?
Così stasera al rondò qualcuno prova a gridare un “Molla Buni! Molla Buni!”, quasi fosse una formula magica come “Apriti Sesamo”, capace di far saltar fuori dal buio il proprio beniamino.
Si dice che qui, da qualche parte, ci sia anche sua sorella. Ha corso il rischio, si è truccata, si è messa il vestito bello ed è corsa giù dalle scale per vedere la partenza. Non era il massimo per una donna aggirarsi da sola per le vie buie di Milano.
(…)
Una paura del Diavolo.
Quasi in ritardo, dopo tutti i concorrenti, ecco adesso una maglia rossa. Risalta in mezzo a tutte le altre. Quella maglia, nel buio della notte, in realtà si vede appena, ma quel poco basta e avanza. Il rosso si illumina a intervalli regolari, quando passa sotto i lampioni, generando uno strano effetto stroboscopico che inquieta e affascina allo stesso tempo. Se Buni sembrava un divo del cinema, questo qui sembra un diavolo dell’Inferno.
È Giovanni Gerbi, anche detto, appunto, “Il Diavolo Rosso”, per via del colore della sua divisa. Giovanni è nato ad Asti, ma a soli diciassette anni si è trasferito a Milano, a cercare fortuna. È finito a fare il garzone da un panettiere in Porta Ticinese, a due passi dal Naviglio. E proprio là, dalla Darsena, tra chiatte e barconi, Giovanni, tolte le mani dalla farina, infila i piedi nelle gabbiette e parte per allenarsi in bicicletta.
L’aria di Gerbi non ha nulla a che vedere con quella, preoccupata o quantomeno intimorita, dei corridori che lo hanno preceduto: niente tremori sul viso, niente occhi sbarrati, soltanto un ghigno satanico. Quello del diavolo. La gente indietreggia, quasi a passare ci fosse un leone scappato dal circo e non un ciclista.
Ha il cranio rasato a zero, altro che la brillantina di Buni. Altro che quei baffi, tanto di moda tra i ciclisti. Qui c’è da soffrire, niente fronzoli.
Giovanni vuole solo e soltanto una cosa: la gloria.
Insieme a Petit Breton se la giocherà fino alla fine.
Ci siamo, tutti hanno doppiato quel Capo di Buona Speranza che è il “Rondò Loreto”. Ora si inizia a fare sul serio. Ora è Giro d’Italia.
Dici “Loreto” e hai detto le Colonne d’Ercole di Milano. Da qui, la capitale del Nord diventa piccola. Le sue luci progressivamente scompaiono, i campi guadagnano spazio a discapito delle case, le prime leggere ondulazioni del terreno si fanno presto colline, quelle della Brianza, poi boschi impervi e infine vere e proprie montagne. Le Grigne, il Resegone, alture rocciose dove la neve resta fino a giugno e i sentieri sono ripidi e .
I piccoli canali d’acqua che percorrono la città in lungo e in largo si trasformano ora in torrenti insidiosi che poi confluiscono in veri fiumi. Come l’Adda o il Lambro, capaci di mandare alla malora in un attimo coltivazioni, case e famiglie intere. E che dire delle chiuse del Naviglio della Martesana, quelle che se non stai attento ci finisci dentro come niente? Altro che Giro d’Italia, qui c’è da lottare per restare vivi. (…)
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Photo: 1 e 2 ©ciclistapericoloso (presentazione Giro d’Italia 2017 – Frigoriferi Milanesi), 3 foto d’archivio (Giovanni Gerbi detto “Diavolo Rosso” in posa)