Storie di Ventolin.

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Chris e i suoi antenati.
S’è fatto un gran parlare di doping in questi giorni. Salbutamolo per la precisione, quello ritrovato in dosi superiori al consentito nelle urine di Mr. Froome, 4 volte vincitore del Tour de France, trionfatore all’ultima Vuelta a España e grande promesso al Giro d’Italia prossimo (e a ‘sto punto è lecito chiedersi se mai ci sarà).
E allora m’è tornato in mente questo capitolo del mio ultimo libro “Storia e geografia del Giro d’Italia”, il terzo per la precisione (“Albisola”). Siamo nel 1969, Eddy Merckx, maglia rosa, è appena stato trovato positivo alla fencamfamina, uno stimolante. Non potrà ripartire, piange nella sua camera d’albergo, consolato da compagni e avversari, incluso il rivale Gimondi. Ma ciò di cui voglio parlarvi non è questo. Bensì di un’altra storia, risalente a un anno prima, 1968, quando forse si era meno propensi ad andare più in profondità di quanto non lo si sia oggi, quando i controlli anti-doping erano pochi, superficiali, persino ridicolmente rudimentali. Una storia nella quale mi sono imbattuto mentre scrivevo il mio libro e che oggi torna, però, prepotentemente – complice il caso Froome/Ventolin – a farmi riflettere. Si tratta della testimonianza di un massaggiatore, intervistato dalla rivista L’Europeo all’epoca, e rimasto poi negli anni rigorosamente anonimo. Ciò che racconta è abbastanza illuminante se riportato oggi. E fa pensare che molte cose non siano in realtà mai cambiate, o per meglio dire, siano ahimè sempre esistite nel ciclismo. Il massaggiatore denuncia una situazione quantomeno anomala, per non dire allo sbando ma assolutamente diffusa già allora, e fa appello alla necessità di un intervento rapido per cambiare il suo sport (intervento, che ovviamente non c’è davvero mai stato). Sono passati da allora quasi cinquant’anni. Il pentolone da scoperchiare rimane sempre lo stesso, senza che abbia mai smesso, per un solo secondo, di sobbollire, pur mutando la natura chimica e tecnologica del suo sobbollire.
Perché i meccanismi, le reazioni, i tentativi di difesa, le frasi fatte, così come anche, per carità, i dubbi e le incertezze (nemmeno io su Froome ho le idee così chiare) sono gli stessi oggi e allora.
Ahimè.
Vi riporto a questo proposito un breve estratto da quel capitolo basato su quella testimonianza. Che in fondo per ogni Chris, come per ogni Lance, per ogni Salbutamolo, per ogni Epo ci sono altrettanti antenati. Dimenticavo: nel frattempo, buon – si fa per dire – Natale.

Ce ne sono soltanto due.
“Ce ne sono solo due che per me vanno senza prendere niente: l’Eddy Merckx, che l’è una forza della natura, un fenomeno insomma, e il Felice Gimondi, che ci darei la vita che non ha preso niente.”
A parlare così è un massaggiatore, uno dei più “esperti”, che ha voluto mantenere però l’anonimato, quasi fosse un pentito. Ma nell’intervista rilasciata al numero 26 del settimanale “L’Europeo”, alla vigilia del Giro d’Italia del 1968, ha vuotato il sacco, provocando un rumore assordante. Sì insomma, a sentire lui, una “sansara” (iniezione), un “borraccino” o una “pastiglietta” e vanno tutti come missili sti’ ciclisti d’oggi. “L’unico l’era il Bartali – dice –  ma quello l’è incrociato con l’orso, più faceva fatica più stava meglio”. E Coppi? “Eh, il povero Fausto… c’aveva anche lui dei sacchetti: vitamine, ormoni… la chiamavano biochimica!”
E quando gli si fa notare che oggi, grazie a Dio, c’è una legge che vieta l’uso di queste sostanze, lui tira dritto come una locomotiva: “Io le borracce continuerò a prepararle, se mi dicono tè, ci metto dentro il tè, se mi dicono cocktail, faccio il barista”.
Già, ma chi si droga di più tra i ciclisti di oggi?
Risposta secca: “I belgi! Ma lì, con il doping è una faccenda di Stato. Lì si va in galera se ti trovano. Io quando vado in Belgio, ho la valigia vuota: un po’ di pomata, un po’ di cerotti, pane e acqua, stop!”
(…)
“Il numero seeei!? Ma siete proprio sicuri? Al mille per mille?!” Svegliato di soprassalto alle 4 del mattino, il professore Genovese, il responsabile delle analisi, non ci vuole credere. Ordina perciò nuovi accertamenti al laboratorio mobile del Giro: ne farà fare quattro di fila, finché davvero non ci sarà più alcuna speranza. Nemmeno per lui. Il risultato è sempre lo stesso. È finita. La fottuta provetta numero 6 parla chiaro: positivo, positivo e ancora positivo. E i numeri non mentono.
La sostanza incriminata è la “fencamfamina”. Uno stimolante appartenente alla famiglia delle “amine psicostimolanti”: la si trova, solitamente, in due farmaci. Uno che si acquista facilmente anche in Italia, l’altro no, lo devi andare a cercare all’estero e anche rischiando grosso. La fencamfamina riduce pesantemente la sensazione di fatica, ti fa sentire forte, sveglio, invulnerabile, anche quando non lo sei. Praticamente ti senti come un dio in terra. Salvo poi pagarne il conto a caro prezzo qualche ora dopo.
E, del resto, l’anonimo massaggiatore che aveva svelato l’utilizzo del doping nel ciclismo non era stato avaro di aneddoti: dopo una tappa del Tour de France -aveva raccontato – Pierino Biffi, che aveva vinto con oltre 20 minuti di vantaggio, aveva poi proseguito in bicicletta in preda a una strana eccitazione fino all’hotel: “facevamo fatica a stargli dietro in macchina”. E una volta giunto in albergo, Biffi mica si era fermato: “ci ho detto guarda che qui c’è l’ascenseur, sei su al sesto piano, macché, ha fatto le scale di corsa, sembrava un grillo. E poi l’è borlato giù di colpo”.
Una brutta faccenda questo “doping”. Prima ti dà, poi ti toglie e lo fa tutto di un colpo. Prima ti senti un dio, mangeresti le montagne, poi, d’improvviso, svieni o crolli a terra. Da lasciarci le penne. E così infatti accadde al ciclista britannico Tom Simpson sul Mont Ventoux al Tour del ‘67, morto per il caldo e per il terribile cocktail di anfetamine ingurgitato.
Ciclisti che fino a un attimo prima salivano come furetti sulle montagne, poi iniziavano a sbandare, magari finendo persino fuori strada. Altri che svenivano in albergo, alcuni che avevano strani segni di punture sui piedi e sulle cosce: da dove venivano? C’è gente che in strada, durante una corsa – dice il massaggiatore – faceva finta di accostare per fare pipì e invece si faceva una bella iniezione intramuscolare. Cose folli, pericolose, prima di tutto per la salute dei corridori. Occorre intervenire.
(…)

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Foto: ©ciclistapericoloso (L’Europeo – Giro d’autore – speciale centenario Maglia Rosa, n.5 maggio 2009)