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Antipasto

La scelta e l’impresa.
Il 28 e 29 luglio 2020, mi sono laureato maître des 7 Majuers.
Era un sogno che cullavo da tempo, ne avevo già parlato qui. Ma poi l’impresa e il progetto erano deragliati, causa lavoro, complessità logistico -organizzative, o forse più semplicemente perché i tempi non erano ancora maturi. Quest’anno, complice l’assenza delle granfondo e quindi dei fantomatici “obiettivi”, e sulla scia del mio nuovo mood esplorativo, ho deciso che era giunto il momento. I frutti erano lì, pronti sull’albero per essere colti. Fossero caduti, sarebbero marciti quasi sicuramente.
Così, assieme all’amico e collega giornalista Massimiliano Muraro, abbiamo fatto i bagagli e siamo partiti alla volta di Stroppo (Cuneo). Ci attendevano 2 giorni di bici, dall’alba al tramonto, letteralmente. E ben 7 passi over 2000 da scalare. Per un totale di 370 km e 11.000 m. di dislivello. Ne è nato un racconto lungo, o “long-form” come lo chiamano oggi, che ho scelto di proporre alla rivista Alvento. Quella che mi sembrava più in linea con il mood che avevo in mente e con il tono che volevo dare alla narrazione. A loro è venuta la bellissima idea di mandare un fotografo, Paolo Penni Martelli, sul percorso, a un mese di distanza, ispirato dal mio racconto. Libero di scattare quello che gli pareva in base alle sensazioni che le mie parole gli avevano comunicato.
Ne è nato un bellissimo lavoro di coppia a distanza. O, almeno, così credo, lo giudicherete voi: da oggi, 1 ottobre, troverete Alvento in edicola.
Ma soprattutto è questo un lavoro che va incontro alle mie attuali e nuove prospettive ciclistiche. Meno racing e più di viaggio.
Da un po’ di tempo, infatti, lo sapete, ho iniziato a coniugare il verbo pedalare con quello viaggiare. Mi piace proprio questa dimensione gipsy e on the road. Soprattutto l’idea dell’itinerario a tappe. Del partire da qui e arrivare lì, fermandomi a dormire qui oppure là. Punti sulla cartina o sulle mappe digitali di komoot, l’app che sta diventando il punto di riferimento per i ciclo-viaggiatori, la migliore per programmare itinerari lunghi.
È stata la mia prima volta con due giorni di fila oltre i 5000 m. di dislivello. Un tantino brutale, ammetto. Non sapevo come avrei reagito, e soprattutto cosa ne avrebbero pensato le mie gambe, non interrogate. È andata decisamente bene: il secondo giorno, addirittura, stavo meglio del primo.
Ma è andata così bene che ora, con Massimiliano, ci abbiamo preso gusto: stiamo già programmando la nuova impresa per il 2021.
Tornando al long-form, quello che segue è soltanto un breve assaggio. Il resto vi aspetta in edicola su #Alvento12. Buona lettura.

Il vento fa il suo giro
È possibile invaghirsi di una valle?
A me è capitato. A fine luglio, in Piemonte.
È un lunedì afoso. Dopo due ore abbondanti di autostrada in compagnia del traffico pesante dei giorni lavorativi, il mio vecchio Citroën Berlingo fa il suo ingresso nella misteriosa val Maira, provincia di Cuneo. So poco, quasi niente, di questa valle secondaria vicina al Monviso. Ma mi è chiaro sin da subito che qui si entra in un altro mondo. Dal quale non si può che farne ritorno cambiati profondamente.
Stretta tra due valli minori, la Varaita e la Grana, e la frontiera con la Francia, la val Maira prende il nome dal torrente che l’attraversa, il Maira appunto. Vista da qui sembra una gola imprudente e inattesa, indubbiamente poco ospitale. Siamo in territorio occitano, le persone qui parlano la cosiddetta lingua d’Oc. Non è italiano, non è dialetto, non è francese: siamo a due passi dal confine ma la lingua non è chiara. E questa gente non appartiene a nessuno, se non a se stessa. Il loro idioma è sinonimo di gelosa identità, comunità, modo di stare al mondo. Qualcosa di sospeso e non definito. A metà strada tra una montagna, un passo, un torrente e un modo di dire. Prima di raggiungere la mia destinazione, Stroppo, ripenso a un film italiano ambientato interamente da queste parti. S’intitola Il vento fa il suo giro ed è una pellicola indipendente del 2005 del regista Giorgio Diritti. Racconta di un ex professore francese che ha abbandonato l’insegnamento e la sua terra d’origine per dedicarsi alla vita da pastore. E per farlo sceglie proprio un piccolo comune della Val Maira e ci si trasferisce con tutta la famiglia e le sue capre.
I campanili di alcune riprese del film, in particolare la chiesa dell’ultima scena – quella di San Pietro e Paolo, nota più semplicemente come chiesa di San Peyre – sono proprio quelli che ho davanti io adesso. Li riconosco, li fisso, rallento: si stagliano nel cielo come giganti di pietra e sembrano voler precipitare a valle.
Ma eccomi arrivato a destinazione. Spengo il navigatore, acchiappo il telefono e scendo curioso.
Entro nella Locanda alla Napoleonica, l’unica del paese. L’atmosfera è rilassata, accogliente, magnificamente retrò: interni interamente arredati con mobili in legno, alle pareti vecchie foto ingiallite di malgari, contadini, mondine al lavoro in valle. Faccio check-in e chiedo dove posso lasciare l’auto per un paio di giorni: tanti me ne serviranno per potare a termine l’impresa che mi sono prefisso. Mi indicano una piccola stradina sul retro, dove scorgo una vecchia signora intenta a spaccare legna e a caricarla sul trattore guidato dal marito.

Le 7 Majeurs
Ho scelto Stroppo, a metà circa della val Maira, semplicemente perché ho guardato dov’era sulla cartina: esattamente in mezzo tra Colle Fauniera e Colle Sampyere. Due delle sette vette alpine che dovrò affrontare in bici a parire da domani mattina.
All’alba mi attende infatti l’affascinante giro alpino noto come Les 7 Majeurs. Un anello di 370 chilometri e 11000 metri di dislivello, in cui si scalano i 7 colli “maggiori” del Giro d’Italia e del Tour de France: Fauniera, Lombarde, Bonette, Vars, Izoard, Agnello e, appunto, Sampeyre. Si pedala per metà in territorio italiano, per metà in quello francese.
Quello dei 7 Majeurs è un brevetto ciclistico, non una gara. Si sceglie il giorno che si preferisce, si inizia a pedalare da dove si vuole (l’organizzazione suggerisce il giro in senso orario, per via del cattivo stato di alcune strade) e si distribuisce lo sforzo come meglio si crede. Fermandosi una notte a metà percorso, come nel nostro caso, oppure pedalando non stop giorno e notte finché il corpo ne ha.
C’è una sola regola per venire ammessi nel club de Les 7 Majeurs: l’anello va portato a termine entro e non oltre 48 ore di tempo. (Continua sul Alvento)
Foto: Davide Marta, ciclistapericoloso – foto servizio Paolo Penni Martelli