Il Quindicesimo Carattere.

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14 era un numero imperfetto, lo sapevo. Toccava solo aspettare un po’ e il 15esimo carattere, nel mio libro, sarebbe arrivato naturalmente.
Quando ho scritto Il carattere del ciclista, Vincenzo Nibali aveva già vinto una Vuelta a España, un Giro d’Italia e persino un Tour de France. Vittorie più che importanti. Eppure era come se avesse ancora qualcosa che gli mancava, qualcosa da dimostrare per entrare a far parte dei miei eroi. Mi piace pensare che dovesse ancora capire chi era. Come uomo, come atleta, come sognatore. Ora ha fatto questo viaggio e credo, in qualche modo, di averlo fatto anche io con lui. Ho pensato di ringraziarlo scrivendone un ritratto aggiuntivo. Anche perché, molto semplicemente, un secondo dopo la sua impresa a Sant’Anna di Viandio, e forse ancor più dopo quella a Risoul, durante la terzultima tappa di questo meraviglioso Giro d’Italia 2016, ho provato naturalmente il bisogno fisiologico di scrivere. Quasi fosse un appetito. Come mangiare. Come andare in bagno. Dovevo farlo.
Di solito, quando mi capita, non oppongo resistenza. Significa in modo chiaro e inequivocabile per me, che quello cui ho assistito è cosa che mi rimarrà dentro. Come un fotografo di fronte a un’istantanea, prima deve “vederla” da solo, essere consapevole che quell’immagine merita di essere fissata per sempre, e poi, soltanto dopo questo processo, fa lo scatto. Ecco io, credo, di aver visto qualcosa di speciale in questa vittoria di Vincenzo Nibali che mi porterò con me. Più della sua vittoria due anni fa al Tour de France. E così, un pomeriggio di inizio estate, ho deciso che dovevo scriverne. Non potevo fare diversamente. Spero vi piaccia. Signore e signori, ecco il 15esimo carattere.
A breve vi dirò come fare a leggervi il ritratto per intero di Vincenzo Nibali, per il momento, accontentatevi di una piccola anticipazione.

Non distante da Madonna di Campiglio c’è un piccolo paese di mille anime. Si chiama Andalo. Ed è giusto al di là della montagna, tra la Paganella e le pendici orientali del gruppo delle Dolomiti del Brenta, in mezzo a boschi, conifere e vicino al magnifico lago di Molveno.
Eppure è lontanissimo. Di mezzo, appunto, c’è una montagna, alta e pressoché disabitata. Madonna di Campiglio, da qui, non si vede nemmeno. Per raggiungerla o giri intorno alla montagna in auto, oppure devi alzarti di buon mattino, salire lungo sentieri impervi, inerpicarti su strade che costeggiano rocce e malghe, scavare con le mani nella terra umida e aspra e poi fermarti. Ecco, là in cima, nel silenzio del tuo respiro, se sei fortunato puoi vederla.
È martedì 24 maggio, il ciclista spagnolo Alejandro Valverde taglia per primo il traguardo della sedicesima tappa del Giro d’Italia, ad Andalo. Allarga le braccia e poi, d’improvviso, alza il pugno destro in cielo, quasi a dare un cazzotto al destino. Il corridore che sembrava smarrito sotto il peso dell’età e delle aspettative, improvvisamente è rinato. Sul suo viso segnato da mille battaglie, mentre la telecamera lo inquadra, si disegna un sorriso bellissimo. La bocca si spalanca in un urlo incontenibile contro il cielo. La gente del posto lo applaude, sincera e forse anche un po’ intimorita.  
“Che bello dev’essere vincere così!” pensi tu mentre in camera vedi e rivedi con invidia quelle immagini alla TV. Michele Scarponi, il compagno con cui dividi la camera, ti chiede il telecomando. Dice che c’è un programma su Canale 5 che gli interessa parecchio, ma tu sai benissimo che non è vero. È solo una scusa, la più semplice. Vuole distrarti dal tuo tormento… (Continua)

(Da “Vincenzo Nibali: l’irriducibile”, a breve disponibile – “Il Carattere del ciclista” Utet 2016)

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Foto:  Beardy McBeard