The Rumble In The Jungle: Tonkov-Pantani.

Cosa c’entra Marco Pantani con Muhammad Alì e il mitico incontro “The Rumble in The Junlgle” di Kinshasa?
Beh, guardatevi questo video e poi ditemi se non sembra un incontro di pugilato. Di più, se non sembra quell’incontro di pugilato. Quello lì, tra Alì e Foreman, svoltosi in Zarire il 30 ottobre del 1974 e passato alla storia come “La rissa nella giungla”.
Occhey, qui non ci sono le palme, ci sono i tornanti. Non siamo a due passi dal deserto, ma oltre i mille metri di quota, non siamo in Africa, ma in Valcamonica. Non siamo nel 1974, ma nel 1998. Ed è estate. Il 4 giugno, per la  precisione (il 7, tre giorni dopo, come fosse oggi, Marco vincerà il suo primo e unico Giro d’Italia). 
Lungo la salita che porta a Plan di Montecampione, Marco Pantani è in maglia rosa, ma sa che non ce l’ha per niente in cassaforte. Anzi. Ha poco vantaggio sul secondo in classifica generale e sa che questa è l’ultima occasione per vincere il suo primo Giro d’Italia. Alle sue spalle, a lavorarlo a fianchi  come Foreman con Alì a Kinshasa, un russo. Un uomo duro e coriaceo, che mena fendenti a gogo. Uno che ama l’Italia a tal punto da prenderci casa. Chissà che da quel 7 giugno, invece, non ci abbia ripensato. Il suo nome è Pavel Tonkov.
I due se le danno di santa ragione. Vince solo chi “vola come una farfalla e punge come un’ape”. Dedicato al più grande pugile e al più grande scalatore di tutti i tempi.

Leggero come una piuma – 54 chili, non un grammo di più – ma capace di pungere come un’ape, ha fatto breccia nel cuore di tutti gli italiani a suon di scatti in salita. Esattamente come Mohammed Alì nel leggendario match di Kinshasa contro Foreman, Marco ha duellato con il russo Pavel Tonkov sulle rampe di Plan Montecampione finché non l’ha mandato al tappeto, e ha portato a casa la sua prima, metitatissima, maglia rosa. Quella che gli era sfuggita troppe volte, martoriato dalla sfortuna e dagli infortuni com’era. Quella volta no, finalmente il destino gli aveva sorriso. Ma non lo aveva certo favorito, la sua maglia di leader della corsa aveva dovuto sudarsela tutta. Per battere Tonkov, il più vicino in classifica generale, aveva dovuto alzarsi sui pedali non una, ma ben due, tre, dieci volte. Pavel, che tanto amava l’Italia da prenderci persino casa, aveva sempre risposto agli scatti di Marco, uno dopo l’altro, incollandosi alla sua ruota senza mollarlo. A casa tutti avevano patito le pene dell’inferno, su quei tornanti erano saliti anche loro con Marco. Poi alla fine Tonkov aveva dovuto cedere. Di schianto. Mentre Marco si alzava sui pedali per l’ennesima volta guardando nel vuoto davanti a sé, Pavel era rimasto seduto, segnale che non ne aveva più. Il russo aveva ricevuto una gragnuola di colpi che avrebbe sfinito chiunque; non a caso a fine tappa dirà che “non sentiva più né gambe né braccia”. E c’è da credergli. Invece Marco, a vederlo in tv, in quel momento – quello della resa dell’avversario – sembrava un missile sparato in cielo. Nulla lo avrebbe fermato. Quando arriva in cima a Montecampione, Pantani sa che il Giro del 1998 è suo.
Soltanto pochi giorni dopo, a Cesenatico, dove è in programma la festa, Marco scappa dal chiosco di piadine della mamma, e va a fare il giro delle discoteche della riviera con Jumbo, il suo migliore amico. Si rifà vivo all’alba, davanti a un cappuccino fumante e a un cornetto caldo. Quello era il suo modo di festeggiare, la gioia pazza dopo un mese di concentrazione totale, quasi maniacale. (…)

 

(Da “Il cocciuto: Marco Pantani” – “Il Carattere del ciclista” Utet 2016)

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