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Il Falco e le Finestre.
La Grammatica della salita.
No, non è il titolo di un racconto di Gianni Rodari “Il falco e le finestre”. Anche se, a stare a quanto scrive nella sua “Grammatica della fantasia” potrebbe anche esserlo: gli ingredienti ci sono tutti.
Secondo il buon Gianni infatti, per creare una bella storia, ci vogliono due cose prima di tutto. Possibilmente due oggetti o due esseri animati, oppure l’uno e l’altro mischiati, anzi in questo caso ancora meglio. Ma attenzione: devono essere due entità che non hanno nulla, ma proprio nulla, in comune tra loro. Tipo, per capirci: una forbice e un pollo arrosto. Oppure, uno spazzolino da denti e una mucca gravida di latte, o anche, perché no, un falco e delle finestre.
Una volta che hai questi due protagonisti, metà della tua storia è già scritta. L’interazione tra loro diverrà istantanea, come un colpo di fulmine tra due innamorati.
Eppure quella che segue non è una storia di Rodari. Anche se ha come protagonisti due cose che tra loro ben poco hanno a che spartire: Paolo Savoldelli, anche detto il “falco” (per le sue incredibili doti di discesista) e una salita ripida come l’inferno e sterrata peggio di una mulattiera.
Giro d’Italia 2005, Paolo è la maglia rosa, e si trova di fronte lo stramaledetto Colle delle Finestre. Salita piemontese, con ben 8 chilometri non asfaltati proprio nel finale, mica pochi. È stata introdotta nella Corsa Rosa per la prima volta proprio quell’anno. Ma l’aveva scoperta, ben dieci anni prima, nel 1995, passando di lì per caso, Carmine Castellano, allora patron del Giro. Se ne invaghì perdutamente.
10 anni dopo, il battesimo. Il falco non la prese benissimo. Ma ne uscì stregato.
Se vi interessa sapere di più del falco e delle finestre, ne parleremo domani, martedì 20 giugno, ore 19, da Upcycle Bike Café a Milano. Con il diretto interessato Paolo Savoldelli ovviamente; un altro Paolo, Ciaberta (fotoreporter di Rouleur e cicloviaggiatore) e Stefano Rodi (giornalista di Sette, Corriere della sera).
In fondo a questo post vi lascio tutti i dettagli.
Che altro dire? Vi aspetto con la birra in una mano e i pop corn nell’altra (verranno proiettate le magnifiche foto di Paolo, spettacolo puro di cui sotto vedete un assaggio). Intanto, vi lascio con una piccola anticipazione. Perché ogni salita, e il Finestre più di tutte, ha una sua “grammatica”. Sotto a studiare allora. Domani vi interrogo.
10 anni in 8 chilometri.
28 maggio del 2005. In mezzo a un fitto labirinto di querce, acacie e frassini, che sale dalla località Meana di Susa, a vedere i sorci verdi è Paolo Savoldelli. Conosciuto come il “falco” per le sue straordinarie doti di discesista, in salita invece non è proprio a suo agio. Tantomeno su una rampa come questa. Del resto si può capirlo, corre il rischio di perdere tutto d’un colpo un Giro d’Italia già vinto. E solo per colpa di quel maledetto sterrato. Cos’era venuto in mente agli organizzatori? Qualcuno gli voleva forse male?
Per fortuna non va così e Paolo dopo aver sofferto le pene dell’inferno ed essere stato aiutato dai compagni di squadra, quel Giro lo vincerà lo stesso. Ma che fatica. “Su quello sterrato ho perso dieci anni di vita” dirà soltanto poche ore dopo aver guadagnato il traguardo. Il primo a transitare in vetta a quella strana salita fatta di pietre e polvere, quella volta sarà Danilo Di Luca. Un abruzzese doc originario di Spoltore, che corre per il team Liquigas. Da quel giorno c’è un monumento in cima al passo che porta il suo nome. Il primo ciclista del Giro ad aver raggiunto la vetta del Colle delle Finestre, 2.179 metri sul livello del mare, sarà lui.
Già, Il colle delle Finestre, una salita con la sorpresa in fondo. Ovvero, la strada sterrata. Niente asfalto, solo terra, ghiaia e polvere. Per salire di qui, devi avere cento occhi, non uno. E magari un sesto senso. Una sorta di radar per intercettare le numerose buche nascoste e le radici sporgenti disseminate un po’ ovunque. Ma soprattutto devi allenarti a stare accovacciato sulla sella, peso all’indietro e muscoli costantemente in tensione. La leggerezza, l’arma tradizionale degli scalatori e delle bici da corsa, qui diventa superflua, perfino controproducente. Devi rimanere ben piantato in terra, non certo volare verso le nuvole. Devi resistere alle sconnessioni, ai sassi, alle buche, tremare e persino – se occorre – sputare sangue. Una sorta di Parigi-Roubaix dell’altura, un inferno del nord un po’ più a sud e tutto in salita. E che salita. Cattiva, selettiva, spietata. Forare è il minimo, finire gambe all’aria, un inconveniente più che probabile. Si procede perciò in compagnia di un’insolita ansia, su un terreno per niente familiare e con la prospettiva di doverci restare per parecchio tempo. L’ascesa è infatti lunga in tutto 19 chilometri, di cui asfaltati appena 11, i primi. I restanti 8 sono tutti, rigorosamente, sterrati. Un girone dantesco.
(Continua a leggere “Storia e geografia del Giro d’Italia” – Utet 2017)
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photo credits: Paolo Ciaberta (Colle delle Finestra, Giro d’Italia 2015)
Invito per domani sera:
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