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Maratona Fairy Tail.
Premessa: o sole mio!
Le foto con i cieli azzurri e il sole che bacia i prati che vedete in questo post (rispettivamente la prima e l’ultima) NON sono state scattare durante la 31esima Maratona dles Dolomites, bensì il giorno prima o quello dopo. Il motivo è semplice: il giorno della gara il meteo era pessimo.
Quasi, per incantesimo, si fosse scelto di mandare in onda un siparietto climatico fantozziano (rendiamo omaggio al grande Paolo, mancato oggi) di 24 ore.
Il giorno della gara sarebbe stato – volere divino – lugubre e dai tratti tardo autunnali. 3 gradi alla partenza, sui passi e sulle montagne piccole chiazze bianche di neve qua e là.
Tuttavia erano così belle le suddette foto (e soprattuto i paesaggi) del giorno prima e dopo, che non potevo non metterle. Mi servivano per dirvi, signori, che c’è poco o niente da fare, questo posto è unico al mondo. Allora, siete pronti? Partiamo con il racconto vero e proprio.
Capitolo 1: partire è un po’ morire.
Domenica 2 luglio, 6:30 del mattino.
Sono in griglia da un po’, ho fatto colazione alle 4:45, nel piccolo hotel di fianco al mio, in quel di San Cassiano, 5 chilometri da dove è prevista la partenza, La Villa.
Crostata, pane e marmellata, cappuccino, in trance secondo caffè perché gli occhi non si aprono bene e le gambe non ne vogliono sapere di girare. Ma dovranno farlo, e anche per tante ore.
Il Garmin, fissato sulla pipa del manubrio, segna 4 gradi appena sopra lo zero. Il cielo è nuvoloso, pare novembre. Guardando il massiccio del gruppo del Sella, imponente e tozzo come non mai, avvolto da una sinistra coltre vaporosa che si solleva rapida modello sigla di Twin Peaks, si ha come l’impressione di andare a pedalare verso il nulla. O, appunto, di morire.
Ma il cannone ha sparato, si parte. Sono in prima griglia, non passano che 2 secondi ed è il mio turno. Pigio “avvio” sul garmin e via. La mia 8a Maratona dles Dolomites è incominciata.
Capitolo 2: o dei palombari.
Come cavolo ti vesti?
Non lo so. E tu?
Ogni granfondo che si rispetti porta con sé questo tormentone autistico. Come se, anche ottenendo risposta dall’altro, uno potesse sciogliere i suoi atavici dubbi. Sarai incerto fino a 30 secondi prima di uscire dall’hotel, rassegnati. Una volta sono persino tornato indietro a cambiare la maglia.
Ma oggi non ho sbagliato. Sono bardato di tutto punto – meglius abundare quam deficere -: salopette 3/4, maglia intima invernale, maglia da corsa pesante, manicotti, persino uno smanicato. Nella tasca, ça va sans dire, la mantellina anti vento, quella più pesante, in Gore Tex.
Ho dormito male, ho pensato tutta la notte al meteo, una vera ossessione. E se piove? E se mi copro troppo e poi sudo? E se ho freddo alle mani?
Ma adesso, pedalo agile e disinvolto, perfettamente immerso in strade che ormai conosco a mena dito e sento di casa. Ho scelto il percorso “lungo”: 138 km e 4200 metri di dislivello. 7 passi, il che vuol dire 7 volte sopra i duemila metri e poi giù, a perdifiato, in mezzo ai boschi, a respirare ossigeno, quello vero.
Le 7 salite che mi aspettano sono: Campolongo, Prodoi, Sella, Gardena, di nuovo Campolongo, Giau, Valparola. L’ultimo forse il mio preferito, immortalato nelle foto dell’amico Paolo Ciaberta durante l’ultimo Giro d’Italia e di cui ho già parlato.
Capitolo 3: Elogio delle nubi.
Fa freddo, un freddo dannato anche in salita, sensazione stranissima. Alla Maratona fa sempre caldo e c’è il sole. Oggi no: tutto coperto. E come fanno a essere belle le nuvole quando sono così compatte e plumbee? Semplice, possono. Basta essere sulle Dolomiti. Qui qualunque cielo è meraviglioso. Anche il più – apparentemente – brutto. Anche se in fretta realizzi: niente sole, niente aumento di temperature. Fuck!
E infatti nulla dell’abbigliamento da palombaro che mi sono scelto, mi darà fastidio o resterà inutilizzato. Guanti invernali inclusi. Per tacere del provvidenziale scalda collo (seppur leggero) che l’organizzazione ha scelto, quasi presagendo la giornata da bruma londinese, di inserire nel pacco gara. Grandissimi.
Capitolo 4: incontri ravvicinati di un certo tipo.
Il primo giro dei 4 passi va via come sempre veloce. Il Campologno che è come un Campari preso prima di cena: ti aiuta ad acclimatarti, a “spogliarti” della civiltà e adagiarti into the wild, in mezzo ai boschi; il Pordoi con la sua sontuosità maestosa, uno dei 21 luoghi di cui si compone il mio ultimo libro “Storia e geografia del Giro d’Italia”; il Sella, con la roccia dolomia incombente e una sorpresa.
Noto subito un ciclista anonimo in mezzo a tutti gli altri, incede regolare ma mai troppo veloce, è tutto nero (abbigliamento lungo, invernale). Ha una barba rossa che sporge da sotto i laccetti del casco e che contrasta con il resto della mise. Mi piace questo profilo understatement, decido di avvicinarmi, perché mi sembra di riconoscerlo. Lo affianco, pedala sua una Pinarello rosso fuoco, con ruote ad alto profilo. È leggermente sovrappeso rispetto a come me lo ricordavo io qualche anno fa. Vorrei dirgli che è uno dei miei eroi personali, perché sì – ora sono certo – è proprio lui. Vorrei parlargli de “Il carattere del ciclista”, il mio precedente libro (in corso di traduzione in Germania, e già uscito in Olanda) e dirgli che lui è uno dei protagonisti. Ma sono anche consapevole di essere maledettamente timido. Farfuglio quindi qualcosa di improbabile in un inglese traballante a proposito dei fratelli Gallagher (in arte gli “Oasis”, band di suoi amici fraterni). Lo faccio giusto per dire qualcosa di originale, di commisurato al dandy chitarrista mascherato che ho di fianco. Capisco subito che ho fatto una cazzata pazzesca, perché l’uomo dalla barba rossa si volta e mi guarda storto. Ma è proprio lui, ormai non ho dubbi. Viro sul clima, il freddo (siamo a 5 gradi, la temperatura è leggermente salita), e allora, arrivati a questo punto quasi fossimo due anziani che non sanno di cosa parlare, accenna un sorriso. Pedaliamo cosi appaiati, io e Bradley Wiggins, uno dei miei idoli assoluti, lungo tutti i ripidi tornanti del passo Sella. Quante volte ho pensato a questo momento? E ora non ho saputo cosa dirgli. Che cretino.
Nella successiva discesa verso la Val Gardena, lo perdo, impegnato a tenere ben saldo il manubrio e a piegarmi in curva. Wiggo si invola tra le nuvole e il vapore acqueo che sale. Forse è solo un’apparizione, mi dico. Però che bella.
Niente da fare, nel secondo passaggio sul passo Campolongo, prima del fatidico Giau, il passo più duro del percorso lungo della Maratona dles Dolomites, lo rivedo.
Ora sta mangiando una banana, fermo al ristoro, mi saluta, si è ricordato!
Allora forse la battuta sua Liam e Noel non era poi così male. Mi affianco e mi chiede come va, che percorso voglio fare oggi. Mi guarda con ammirazione, lui farà “solo” il medio.
Capitolo 5: Have a nice Race, man.
Gli chiedo: ma come è pedalare senza l’ansia della gara? I paesaggi li vedi adesso, senza Froome che scalpita alle tue spalle in salita? Senza la radiolina Sky che ti impone, come un imperativo kantiano, un ruolino di marcia da cui è vietato deviare di mezzo millimetro, riesci a divertirti? Ride. Mi dice: “È fantastico, non puoi capire”, trangugia una cocacola, aggancia i pedali e riparte. Mi saluta che è già in sella con l’occhiolino e un “Have a nice race, man” che non dimenticherò. Cose tra ciclisti.
Ecco, poi il resto viene meno. Vengono meno le fatiche – stavolta quasi indicibili – del passo Giau (10 km al 10% di pendenza costante, per chi non lo sapesse). La discesa con fiato sospeso perché avverto le prime gocce di pioggia ghiacciata (chissà quanti gradi ci sono adesso) e odio le discese – specie quella del Giau, tecnicissima – bagnate, come Brad. Viene meno la successiva salita del Falzarego e poi i maledetti due chilometri del Valparola, che in realtà sono benedetti perché bellissimi come già accennato prima. Qui dicono “Intra i Sass”, in mezzo ai sassi. È come potrebbe venire chiamato diversamente questo aguzzo scollinamento lunare, tra pietraie clacaree e fortini della Grande Guerra?
Un luogo non luogo.
E viene meno anche l’emozione – stavolta devo dire tanta, figlia della consapevolezza di non essermi allenato abbastanza ma di avercela fatto lo stesso, vuoi mettere la soddisfazione? – per aver portato a termine il percorso lungo ancora una volta. In testa mi rimane solo quel “Bellissimo, non puoi immaginare”. Quasi lo avessero liberato, dopo anni di tabelle. Quasi finalmente potesse pedalare anche lui come noi, come tutti. Per godersi il paesaggio, perdersi nei boschi, liberarsi dagli orpelli.
Have a nice race, Brad.
Photo credits: ©ciclistapericoloso