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Wim Wenders e il Valparola.
Come si scrive e come “si vede” un Giro d’Italia.
È da tempo che mi sono accorto che un Giro non lo si scrive e basta, ma lo si può anche “vedere”. Ove per “vedere” intendo attraverso la macchina da presa o, soprattutto, la fotocamera. Anzi, credo che le due attività – quella dattilografa e quella “ottica” – vadano proprio di pari passo.
Nel mio ultimo libro “Storia e geografia del Giro d’Italia” ho cercato di narrare non tanto i ciclisti quanto i luoghi, gli scenari, gli sfondi. Mi sembrava – e questa è la tesi sostenuta nel tomo – che i veri protagonisti fossero in realtà loro: i paesaggi, i posti magnifici che questa corsa incontra e ha incontrato in 100 edizioni. Posti, per altro, del paese più bello del mondo.
Parlando con l’amico e fotografo Paolo Ciaberta, mi sono accorto che la stessa, identica cosa, capitava a lui mentre fotografava (è stato al seguito anche dell’ultimo Giro, il Giro 100). Mi diceva Paolo: io vado a seguito del Giro, mio compito è fotografare la corsa, Nibali, Quintana, Dumoulin e compagnia, non perdermi nemmeno una fuga o una volata. Ma in realtà – mi accorgo sempre più spesso – ciò che fotografo non sono loro, i ciclisti. Ciò che catturo (“sparo”, da “shoot” in inglese) sono i luoghi.
Eppure quei luoghi, se andassi a fotografarli – aggiungeva Paolo – senza la scusa della corsa, senza che di lì ci passassero i ciclisti, finirebbero per trasformarsi in scatti anonimi di paesaggi. Senza un ciclista cui cade una borraccia, senza uno scatto improvviso di un grimpeur che si alza sui pedali, senza un tifoso che corre nudo invadendo la carreggiata magari con un fumogeno colorato in mano, quei posti non sarebbero più “quei posti”.
Se occhio non vede, cuore non si emoziona.
Once: pictures and stories.
Pensando a queste sue considerazioni, la mente mi è inevitabilmente andata a un bellissimo libro di Wim Wenders, il famoso regista tedesco de “Il Cielo sopra Berlino”. Il libro si chiama “Una volta” (o “Once” in lingua originale, che è ancora più bello) e si compone di immagini e testo (“Pictures and Stories” e’ infatti il sottotitolo). O, meglio, di “Momenti” e “Storie”. E funziona così: ci sono foto, secondo Wenders, che colgono attimi che raccontano una storia: dei “C’era una volta”. Ognuno dei quali potrebbe essere, per lui che fa il regista, l’incipit di un film. E spesso lo sono diventati. Molte altre volte invece no, si sono fermati lì, al loro essere semplicemente dei momenti degni di essere immortalati. Niente di più. Sospesi nel tempo. Ma un po’ è come se fossero rimasti sulla punta della lingua. Magari li si poteva raccontare un po’ di più.
Ecco, ci siamo detti io e Paolo, la stessa cosa capita anche a noi. A me con lo scrivere di luoghi, a lui con il fotografarli. Quando nel mio ultimo libro ho scritto dello “Stelvio” o del “Gavia” o delle “Tre Cime di Lavaredo” (il libro si compone di 21 capitoli, per altrettanti luoghi), ogni volta avevo in testa un attimo, un momento legato a quel determinato posto e a una storia. E ho cercato di “espanderlo”: poteva essere lo scatto di Coppi sullo Stelvio o la bufera di neve sul Gavia, o Vittorio Adorni che affianca Eddy Merckx per dirgli di star buono che non è ancora il momento di scattare prima della fuga di un’intera carriera verso il rifugio Auronzo. Con la scrittura, l’operazione diventa semplice: racconti, allunghi all’infinito (o comunque di quanto vuoi) quell’attimo. Ci metti dentro colore, la folla che urla, un ramo che lascia cadere un po’ di neve, o i pensieri di un ciclista in fuga. Ma con la fotografia tutto ciò diventa inevitabilmente molto più difficile.
Finché non ho incontrato Paolo, che, con candore sibillino, mi ha detto che lui fa esattamente lo stesso. In modo assolutamente naturale e immediato. Si prenda l’ultimo Giro, tappone Dolomitico. Paolo doveva fotografare il passo Gardena, lo aveva già deciso, prestabilito. Aveva anche individuato il tornante esatto su cui appostarsi per scattare i ciclisti mentre passavano. Poi capita l’imprevisto, l’attimo che ti racconta, wendersianamente, una storia. il tuo “Once”. E che ti manda tutto all’aria.
La tua storia, quella che andrai a raccontare con il tuo obiettivo e il tuo otturatore sarà completamente diversa da quella che immaginavi. Per Ciaberta tale attimo ha coinciso con lo scollinamento del passo Valparola (tra l’altro uno dei miei preferiti). Ci è passato per raggiungere il Gardena, e ha deciso che si doveva fermare lì. Troppo forte il richiamo di quel luogo, “intra i sass” come recita la scritta in ladino sul valico, che mette in comunicazione Cortina con la Val Badia. Era là tra due enormi sassi di roccia calcarea, uno scenario lunare che non avrebbe potuto che partorire una storia. Once, capita una volta sola. Non si può lasciarselo scappare.
Un attimo espanso da una fotografia. In altre parole con un semplice clic si potevano cogliere mille particolari, intensi e imprevisti. Raccontare favole di marziani e gregari che neutralizzano fughe, fermare i rami dei pini piegati dal vento, cogliere il sole nell’atto di riflettersi, come un amante, sulla superficie trasparente e piatta del piccolo laghetto dietro le rocce. Si poteva, in poche parole, raccontare di ciclismo, ma anche d’altro. Chissà cosa. Lasciar parlare quel luogo magico e incantato. Come l’incipit di un film di Wim Wenders.
Martedì 20 giugno, Upcycle – Milano. Non la solita presentazione.
Ho pensato così che sarebbe bello poter fare un libro come “Once” di Wenders, ma sul ciclismo. Quante istantanee abbiamo visto dal Giro, ma anche dal Tour o anche semplicemente dalle nostra uscite che potrebbero da sole diventare una storia?
Il ciclismo è uno sport, credo, altamente wendersiano, fin nel midollo. Fatto per essere guardato, scritto, annusato, sentito con tutti i pori della pelle. Scriverlo e basta (come anche solo fotografarlo d’altra parte) potrebbe essere riduttivo. Dopo una crono, ad esempio, per quanto vi fischieranno le orecchie per colpa del rumore delle ruote lenticolari? Mica si può solo scrivere. Bisognerebbe farlo sentire. E dopo un arrivo sulle Dolomiti non sentite nelle narici il profumo di legna appena tagliata? Cosa fate, lo fotografate? Il ciclismo profuma, racconta, fa sognare. Forse un libro è presto per pensarlo oppure troppo ambizioso.
Per il momento dunque, limitiamoci a parlarne insieme. Vi aspetto, con Paolo ovviamente, martedì 20 giugno da Upcycle Bike Café a Milano, il luogo ideale, l’agorà del ciclismo milanese. Non volevo fare la solita presentazione, non volevo raccontare semplicemente il mio libro (l’ho già fatto tante volte quest’anno). Volevo capire, assieme a voi, perché i luoghi sono così importanti e portatori di storie. E se è possibile raccontarli davvero.
Ci vediamo martedì prossimo, da Upcycle (sotto tutti i dettagli), si berrà anche qualcosa. È d’obbligo l’abito rosa.
“Come si scrive e come si vede un Giro”
Un’altra presentazione di “Storia e geografia del Giro d’Italia”.
martedì 20 giugno, h.19, Upcycle Bike Café, via Ampere 59 (Milano). Con Paolo Ciaberta, conduce Stefano Rodi (Sette – Corriere della Sera).
Tutti i materiali su “Storia e geografia del Giro d’Italia” li trovi qui
photo credits: Paolo Ciaberta (Passo Valparola)
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