La 25esima ora di Marco Pantani.

Prima persona singolare. 
Sono giorni in cui continuo a sentir parlare di Pantani. Chissà perché proprio adesso. Quasi ci fosse fermento, voglia di lui. Strano, non c’è nessuna ricorrenza. Eppure, periodicamente ritorna fuori. Come un monito, come una maledizione. Come una sorta di memoria storica collettiva del ciclismo: ricordate che questo è stato. Anzi, che questo si è pedalato.
Marco, nel mio libro, occupa un posto speciale, è “il cocciuto”. In tanti mi hanno chiesto perché proprio questo carattere e non un altro. “Ma come, non era fragile? Non era insicuro, non era quello più bisognoso affetto?”
No, o almeno non più di chiunque altro di noi. Tutti abbiamo bisogno di affetto. Tutti siamo fragili. Marco, da questo punto di vista, non faceva differenza.
Mano mano che tinteggiavo il Pirata, così come si fa con una parete, mi sembrava che il suo ritratto prendesse una fisionomia precisa, nata dalle testimonianze, dai racconti e dalle confidenze che avevo raccolto. Me ne sono così fatto un’idea, assolutamente personale ovviamente, ma altrettanto precisa. Marco non era fragile e indifeso, non era insicuro e facilmente influenzabile. Nient’affatto. Marco era un magnifico cocciuto. Stupendo finché ha vinto, pasolinianamente tragico quando ha cominciato a perdere.
Ne “Il carattere del ciclista” Pantani è l’unico dei 14 ciclisti ritratti che faccio parlare in prima persona. Un onore che potevo concedere a uno soltanto. Una scelta voluta e raggiunta dopo mille dubbi e incertezze. Ovviamente quello che gli faccio dire non sono parole sue, ma mie. Parole che gli metto in bocca, o meglio, in pensiero, perché mi piace pensare che fossero quelle che davvero gli passavano per la testa. Un po’ come fa Edward Norton nel film di Spike Lee “La 25esima ora”, nel suo celeberrimo monologo allo specchio (quello nel video qui sopra). Il giorno dopo andrà in carcere, quelli sono i suoi ultimi pensieri in libertà. Ecco, la 25esima ora è l’ora che nella giornata non c’è, lo spazio per un flusso di coscienza finalmente libero. Quello in cui si è soli con se stessi, al di là di tutto e di tutti. Il momento in cui si vuota il sacco. Mi piace pensare che la 25esima ora di Marco Pantani fosse questa:

Ma quale clinica?!
Ma quale clinica
?! Io non ci credo a quelle cose lì, ci ho già provato una volta a Padova e sono scappato a gambe levate, non mi ci rificco di nuovo in quella situazione. Non voglio finire come Jimenez, il mio amico ciclista che se n’è andato l’anno scorso proprio mentre seguiva uno dei vostri fottuti programmi di disintossicazione. Volete per caso vedermi morto? E poi io non sono un tossico, ho avuto solo qualche momento di debolezza. Come tutti.
Lasciatemi piuttosto partire per Cuba, solo qualche giorno poi torno. Là sì che sto bene, c’è il sole, il mare, Che Guevara e anche Maradona, che è un amico vero, mica come voi. Anche lui ha avuto problemi con la sostanza, e mi ha dato consigli più utili dei vostri! Lasciatemi andare, anzi, guardate, per farvi felici mi porto dietro anche la bici che –questo sì, ve lo prometto – torno a pedalare. Devo si o no buttare giù questi venti chili che ho messo su da qualche mese? Così conciato sono ormai un ex, scordatevi il Pantani che avete in mente, sono diventato un torello e in queste condizioni sono impresentabile in qualunque competizione. Ma se mi fate andare a Cuba, invece… vedrete che cannonata!
Ve lo garantisco, mi rimetto in forma e torno più forte di quello del Tour.
Del resto ne avete avuto una prova l’anno scorso, quando con mamma e papà, in camper, siamo andati in Grecia. Ve lo ricordate? A caccia alla mattina e poi in bici al pomeriggio, facevo anche il giro delle tre dita della Calcidica, duecento chilometri in solitario. Io, il mio respiro, e i cani randagi. Che io li amo i cani, in particolare quelli randagi. Perché sono come me, parlano poco ma sanno sempre dove andare. E, soprattutto, non hanno più niente da perdere. In quei giorni, ve lo assicuro, ero felice, stavo bene, nemmeno un’ombra della sostanza. Pulito! Da capo a piedi. Chiedete a mamma.
E infatti al Giro poi si è visto, sono andato forte quasi come hai vecchi tempi. Mi avete visto scattare sullo Zoncolan e poi nella salita verso la Cascata del Toce, se solo Simoni mi avesse lasciato la vittoria di tappa! Aveva già la maglia rosa, cosa diavolo gli costava? Doveva proprio fare il cannibale con me?
Ma se mi richiudete in una clinica, io lo so che ricomincio con la sostanza, e va a finire che ci resto secco. Anche l’altra volta ci sono andato vicino, se non era per voi che venivate a prendermi, chissà a quest’ora dov’ero. Papà ha persino litigato con il personale.
Perciò, vi scongiuro, ora lasciatemi andare a Cuba. Fosse anche l’ultima volta che a ne so sui sarà un elt dè par me
(…)

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Foto: Paolo Ciaberta