
Tag
Tourmalet e altri incantesimi – 2
Cavalli Selvaggi
Seconda puntata del mio psico-racconto dalla Marmotte Pyrénées. La più dura e bella granfondo cui abbia mai partecipato.
Adesso, se mi seguite, vi spiego bene anche perché. Della partenza vi ho già detto, ora tocca mettersi in viaggio davvero, bisogna “salire”. In tutti i sensi. Ci aspetta un primo tempio sacro del ciclismo, dei cinque di cui si compone questa meravigliosa gara. Sto parlando del mitico Col du Tourmalet (2115 m.), la vetta “sacra” per eccellenza del Tour de France e del ciclismo in generale. Il Tourmalet è cioè “Il” luogo. Come lo ha brillantemente definito un amico, quando su Instagram, la sera prima della partenza, ha visto che mi trovato da quelle parti: “sei nel luogo, Giacomo, sappilo”. Un brivido mi era corso lungo la schiena. Ne sarò all’altezza?
Il fatto è che il ciclismo, credo, sia fatto soprattutto di luoghi. Ha i suoi templi sacri, che devi rispettare e affrontare con un certo spirito. Il Tourmalet è uno di questi.
in bici lo scenario è cioè parte integrante dello sport che pratichi. Devi esserne all’altezza.
È un po’ come entrare in un film: si cambia continuamente location, le immagini sfuggono alla brama di fermarle e possederle. Sarai solo una comparsa, occorre esserne consapevoli prima di partire. Impossibile afferrare un luogo. Tantomeno il Tourmalet. Ma questo è il bello di andare in bicicletta.
Il Tourmalet, alla Marmotte Pyrénées, fa proprio questo effetto. Cinematografico. Ti colpisce e poi scappa via. Come un fotogramma.
Lo fa con le sue vette aguzze, con le sue pietraie lunari, con i suoi prati immensi e più che verdi, con i suoi animali, che sono, ovunque, allo stato brado. Cavalli, mucche, pecore, che invadono, libere, la carreggiata. Sono attori, loro protagonisti sì, nello scenario immenso di una montagna unica al mondo. Ho provato a fare delle foto, a “catturare” Le sue bellezze, ma non è sufficiente. Provo anche con le parole. Chissà che non mi riesca meglio.
Ecco la seconda puntata della mia Marmotte Pyrénées.
Ovvero: il primo Tourmalet (si fa due volte) e la misteriosa l’Horquette d’Ancizan, dove credo di aver visto i cavalli più belli e selvaggi, come direbbe Cormac McCarthy (uno dei miei autori preferiti), di sempre.
7:30 – Pronti, partenza, Tourmalet
Si parte che quasi non me ne accorgo. I primi 20 chilometri vanno via veloci, ma non sono piatti: si accumulano già 200 metri di dislivello. Arrivati a Luz-Saint-Sauveur, piccolo paese nel dipartimento degli Alti Pirenei, inizia il primo Tourmalet. Un brivido e un certo timore reverenziale mi pervadono. Da qui sono transitati i più grandi, qui sono state scritte pagine indelebili di storia del ciclismo. Da questo primo versante, l’ascesa è lunga quasi 19 chilometri, con un dislivello di circa 1500 metri. Pendenza media 7,5%, massima del 13%. Pochissimi i tornanti per rifiatare, e quasi tutti nel finale. Ma la gamba è fresca, come mi fa notare una concorrente francese (nutrito il gruppo di donne). Il paesaggio si fa via via sempre più lunare, selvaggio, aperto. Letteralmente toglie il fiato. Non faccio mai foto durante le gare, ma questa volta non posso esimermi. Il Pic du Midi, con il suo osservatorio, mi scruta dall’alto, una mucca e alcune capre invadono la carreggiata costringendomi a pericolose manovre.
Arrivato in cima al Tourmalet scorgo la sagoma della statua di Octave Lapize, la sua ombra si allunga su di me come una grande mano che vuole afferrarmi. Octave è stato il primo ciclista a transitare qui, nel lontano 1910: quella volta maledisse gli organizzatori del Tour de France. Siamo a 2115 metri di altezza, il sole non è ancora alto e fa piuttosto freddo. Tiro su i manicotti, indosso la mantellina e mi getto a perdifiato nella lunga discesa verso Sainte-Marie-de-Campan. La prima fatica è nel sacco.
10:13 – Into the wild
Dopo poco più di 50 chilometri e quasi 2000 metri di dislivello, arriva la seconda asperità: la misteriosa Hourquette-d’Ancizan. Ho cercato informazioni su questo posto ovunque, ne ho trovate pochissime e tutte assolutamente scarne. Ho però visto delle foto che mi hanno stregato: paesaggi privi di qualunque segno di presenza umana. Prati verdi, boschi folti, vette rocciose, animali. Dopo pochi chilometri scopro che è proprio il versante che affronteremo noi. La salita è regolare e pedalabile, anche se lunga 17 chilometri, e lascia ampio spazio alla contemplazione.
Credo di non aver mai visto un posto simile in vita mia. Mi beo nel verde smeraldo dei prati e nell’azzurro zaffiro del cielo. Mi accorgo che anche gli altri concorrenti fanno lo stesso, e la cosa mi rincuora. Siamo tutti come avvolti in una strana nuvola magica. Abbiamo smesso di faticare e forse siamo entrati in un’altra era, o più semplicemente stiamo sognando a occhi aperti. Una cosa è certa: valeva la pena venire fin qui dall’Italia anche solo per questo momento. In vetta all’Horquette-d’Ancizan, 1564 metri, mi fermo, prendo due datteri e una banana al ristoro e mi guardo attorno. Un posto così, ne sono certo, non può esistere davvero.
(CONTINUA…)
il racconto completo della mia Marmotte Pyrénées lo trovate su Cyclist (numero di ottobre) in edicola. Compratelo, che la carta fa bene alla salute.
Leggi la prima puntata.
Leggi il mio ultimo libro “Gli italiani al Tour de France” (Utet 2018)
Foto:
1 – Col du Tourmalet, in vetta (2115 metri), al cospetto di Octave Lapize
2 – Ultimi chilometri, duemila metri sul livello dei sogni
3 – In picchiata verso Sainte-Marie-de-Campan
4 – Paesaggio in movimento salendo verso l’Horquette-d-Ancizan
5 – Le prime due salite sono finalmente nel sacco. Ora mi attende l’Aspin
©ciclistapericoloso (tutti i diritti riservati)
Pingback: Tourmalet e altri incantesimi – 3 | Ciclista pericoloso