Etna chiama, Pistolero risponde.

Sotto il Vulcano.
Lo chiamano il Mungibeddu. E lui le cose la fa quasi sempre in grande. Anche quest’anno con le sue eruzioni non ha scherzato. La strada che sale al rifugio Sapienza da Nicolosi non è mai uguale a se stessa, tocca risistemarla ogni volta che lui, il Mungibeddu, gioca qualche scherzo con i suoi lapilli e i suoi fiumi di lava incandescente. I crateri sommatali sono grandi e grossi, vero, ma i più insidiosi – almeno per la strada – sono le fenditure che si aprono come crepe mano a mano che si scende a valle. Qualcuno quest’anno ne è rimasto ferito, mentre era in gita e forse scherzava un po’ troppo con il fuoco.
In cima al Mongibello c’era persino una torre. Si chiamava Torre del Filosofo, dedicata ad Empedocle, il filosofo siceliota cascò dentro il vulcano per l’eccessiva sete di conoscenza. Mai sporgersi troppo attorno a quelle derive ulcerose e purulente.
“L’Etna è il nostro Mont Ventoux” aveva detto Angelo Zomegnan quando lo presentò per la prima volta al Giro d’Italia. E come dargli torto: stessa altitudine del gigante calvo della Provenza reso celebre dal Tour de France. Ma soprattutto stesso vento devastante (raffiche anche sull’Etna spesso e volentieri oltre i 100 km all’ora, anche se sali a piedi spingendo la bici a braccia, vieni spazzato via con lei come un ramoscello). E poi stesso paesaggio spettrale. Crateri rosso vermiglio qua, piana lunare bianca là. Ma fa poca differenza. Sull’Etna non si scherza. Chiedere a un esperto come Alberto Contador, il “Pistolero”. Sul Mungibeddu ci mise casa, altro che il Teide, dove andava prima ad allenarsi. Alberto l’Etna lo ama da sempre. Quando ebbi il piacere di intervistarlo un paio d’anni fa, gli chiesi quale era la sua salita preferita in Italia. Mi rispose secco, con un lampo negli occhi, “l’Etna”.
Bene, domani, lo sapete tutti, il Giro d’Italia numero 100 salirà sul vulcano siciliano. Sarà una tappa memorabile, lo so già. Basti pensare che chi si vuole giocare la vittoria finale, non potrà certo rimanere indietro. E avere gambe da salita dopo solo 4 giorni non è cosa da femminucce.
L’Etna arriva presto, il Giro, e la Sicilia, sono in stato di sovraeccitazione.
E allora, mettiamoci comodi in poltrona che i pop-corn stanno già scoppiettando in padella.
Nell’attesa, vi racconto una storiella, dal capitolo “Etna” del mio ultimo libro “Storia e geografia del Giro d’Italia”.

Garantisce Contador.
Comunque la si pensi, l’Etna è una montagna destinata a raccontare storie. Un monte inospitale, fucina di creature terribili. Gli antichi lo temevano, e come loro i moderni anche di più. Non lo dicono apertamente, ma quando l’Etna erutta se la fanno letteralmente sotto. Chiedere agli abitanti di Nicolosi, di Linguaglossa o di Bronte. Per non parlare di quelli di Catania, scottati da una brutta esperienza nel lontano 1669, quando il “Mungibeddu” o “Mongibello” – questo il nome che i locali danno all’Etna – sputò un fiume di lava che rase al suolo mezza città. L’eruzione più potente di sempre. Mentre, per tornare ai nostri giorni, quella più spettacolare si è registrata sicuramente a cavallo tra il 2002 e il 2003, la cosiddetta “Eruzione perfetta”. Proprio per festeggiare l’arrivo dell’anno nuovo, Efesto e Polifemo si erano dati appuntamento per una colata lavica con i fiocchi. Erano andati avanti fino a fine gennaio, come due ubriachi che non ne vogliono sapere di tornare a casa prima dell’alba. E che dire di quella del 2007? Aeroporto Fontanarossa chiuso e voli dirottati per giorni. L’Etna, quando ci si mette, sa fare le cose in grande.

Se chiedete al ciclista spagnolo Alberto Contador quale sia la sua salita preferita, vi risponderà senza alcuna esitazione che è l’Etna. Quella immensa montagna inquieta e borbottante che domina la Sicilia orientale, tra i monti Nebrodi – le propaggini dell’Appennino siculo – e la piana di Catania. È la sua preferita. La numero uno, non solo in Italia, ma in tutta Europa. Prima di Galibier, Tourmalet e le altre vette sacre –e a lui così care – della Grande Boucle. Da non crederci.
Se chiedete al ciclista spagnolo Alberto Contador quale sia la sua salita preferita, vi risponderà senza alcuna esitazione che è l’Etna. Quella immensa montagna inquieta e borbottante che domina la Sicilia orientale, tra i monti Nebrodi – le propaggini dell’Appennino siculo – e la piana di Catania. È la sua preferita. La numero uno, non solo in Italia, ma in tutta Europa. Prima di Galibier, Tourmalet e le altre vette sacre –e a lui così care – della Grande Boucle. Da non crederci.

Qui, del resto, Alberto, detto il “Pistolero” per il suo celebre modo di esultare mimando il gesto delle pistole, ci viene ad allenarsi da tempo. Da quando vinse qui la sua prima tappa al Giro d’Italia, nel 2011. Dopo quel “colpo di fulmine”, è sempre riuscito a convincere le sue squadre – ne cambia spesso – a trascorrerci i ritiri invernali. Quelli che vanno da gennaio a marzo, in preparazione alle classiche del Nord o al Giro d’Italia. La squadra fa base in un golf club a Linguaglossa, un piccolo comune posto sul versante Nord dell’Etna. Da lì, di buon mattino i ciclisti salgono lungo la strada nota come “Mareneve”, dal nome della località a cui conduce e chissà, forse anche per via del cambio di paesaggi che la contraddistingue: una lingua d’asfalto ripida e tortuosa che arriva fino a quota 1630 metri. Dal mare alle montagne in un colpo di pedale.
Da qui, da Mareneve, si può scollinare e scendere verso sud, arrivare fino a Zafferana Etnea, e poi, volendo, ad Acireale e al mare, che non guasta mai.
E una volta rifocillati, magari con un gelato al pistacchio, se si ha ancora “gamba” e voglia – e il pistolero ne ha sempre – si può risalire di nuovo sull’Etna, a ritroso, dal versante Sud. La salita percorsa più volte appunto anche dal Giro d’Italia. A voler pedalare, sull’Etna c’è da perderci la testa. Potresti non rifare mai la stessa salita due volte.
A pedalare con Alberto, nei suoi ritiri invernali, ci sono i suoi compagni di squadra, tutti contagiati dal suo amore sconfinato per questa strana montagna. L’ultima volta che è stato qui c’erano niente popò di meno che Peter Sagan e Ivan Basso, per citarne solo due. Il guascone slovacco, campione del mondo su strada, che fa sognare i teenager, e il varesino due volte vincitore del Giro, recentemente ritiratosi dall’attività agonistica.
Alberto li ha fatti lavorare come fabbri, su e giù per il vulcano, su strade che conosceva soltanto lui. “Alberto ci fermiamo? È quasi buio…”, chiedevano quelli imploranti. “Ma scherzate? Questa è l’ora migliore per godersi il panorama dal Rifugio Sapienza!”
E allora su a pedalare fino all’ultima salita, fino all’ultimo respiro. Ma che belli quei giorni invernali, che bello quel sudore e quella fatica. (…)

Continua a leggere “Etna” su “Storia e geografia del Giro d’Italia” (Utet 2017)

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