Grease

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Questione di gel e occhi dolci. 

No, lui la brillantina non la portava. A quel primo Giro d’Italia tutto un trionfo di baffoni e capelli impomatati, come quelli degli attori del cinema, lui voleva differenziarsi. Niente fronzoli allora. Niente smancerie. Cranio rasato a zero, sguardo feroce sull’asfalto e via andare. Tanto si doveva pedalare, mica pettinare le bambole, giusto?
Nome in codice: Diavolo Rosso. All’anagrafe: Gerbi. Giovanni Gerbi.
Tutto un altro pianeta invece quell’altro, il rivale. Piccoletto, aria quasi altezzosa, per non dire snob, e la divisa? Tutta nera, da capo a piedi. Baffoni, ça va sans dire , e brillantina a gogò sulla chioma scura. Pare che prima di uscire si fosse guardato più e più volte allo specchio.
Nome in codice: Piccolo Diavolo Nero. All’anagrafe: Buni. Romolo Buni. Il ciclista dei milanesi. Per tacere del “Francese”, Petit Breton. Quello da battere a tutti i costi. È lui, il francese (anzi franco-argentino) il favorito. Senza alcun dubbio.
E da Milano si partiva: prima tappa del primo Giro d’Italia in bicicletta. 13 maggio 1909, ore 2.53 del mattino, Rondò Loreto. Il cuore nevralgico della Milano Nord.
Faceva caldo ma, stranamente, quella sera – faremmo meglio a dire notte – si battevano i denti, l’aria era salmastra e c’era poco da stare allegri. Chi ne sarebbe uscito vivo da quel primo folle Giro (prima tappa: 398 km, da Milano a Bologna, seconda e terza poco di meno, strade ridotte a colabrodi)?
Domani, da Alghero, parte il 100simo Giro d’Italia, finalmente. Tutt’altre strade.
Sarà uno spettacolo. Come potrebbe essere diversamente? Il Giro è sempre best ever. Anche quando è worst.
A maggio l’Italia è in fiore, la natura esplode, gli adolescenti sentono la primavera come non mai, gli ormoni vagano nell’aria con i pollini, le facce stranamente sorridono di più, le scuole stanno per finire, al lavoro si va più volentieri (se si riesce il pomeriggio si guarda il Giro di nascosto al pc). Quale periodo migliore per mettersi in bicicletta e scapicollarsi su e giù dalle Alpi agli Appennini (realmente o in tv)? Si partirà da Alghero, in Sardegna, questa volta. Il Giro in Sardegna non ci passa quasi mai. Quando lo fa, lo abbiamo già detto, è sempre una grande occasione. E il centenario indubbiamente lo era.
Ma noi oggi torniamo a Milano, a quel 13 maggio 1909, alle 3 del mattino. Minuto più minuto meno. In mezzo a tutta quella brillantina, a quei baffoni e a quell’aria che sa di tempesta. Parola d’ordine: Rondò Loreto.

Milano calibro 1909.
Romolo ha i baffi tirati a lucido e i capelli imbrillantinati, come sempre. Più che un ciclista sembra una star del cinematografo, sbarcato in Italia dalle Americhe.
Sua sorella è percossa da un brivido, quasi sviene, la tengono su in due.
Lui, in compenso, non la guarda nemmeno, abbassa gli occhi e tira dritto con un colpo secco di pedale. Si sente un duro, o almeno vuole dare l’impressione di esserlo.
Quasi in ritardo, dopo tutti i concorrenti, ecco adesso una maglia rossa. Risalta in mezzo a tutte le altre. Quella maglia, nel buio della notte, in realtà si vede appena, ma quel poco basta e avanza. Il rosso si illumina a intervalli regolari, quando passa sotto i lampioni, generando uno strano effetto stroboscopico che inquieta e affascina allo stesso tempo. Se Buni sembrava un divo del cinema, questo qui sembra un diavolo dell’Inferno.
È Giovanni Gerbi, anche detto, appunto, “Il Diavolo Rosso”, per via del colore della sua divisa. Giovanni è nato ad Asti, ma a soli diciassette anni si è trasferito a Milano, a cercare fortuna. È finito a fare il garzone da un panettiere in Porta Ticinese, a due passi dal Naviglio. E proprio là, dalla Darsena, tra chiatte e barconi, Giovanni, tolte le mani dalla farina, infila i piedi nelle gabbiette e parte per allenarsi in bicicletta.
L’aria di Gerbi non ha nulla a che vedere con quella, preoccupata o quantomeno intimorita, dei corridori che lo hanno preceduto: niente tremori sul viso, niente occhi sbarrati, soltanto un ghigno satanico. Quello del diavolo. La gente indietreggia, quasi a passare ci fosse un leone scappato dal circo e non un ciclista.
Ha il cranio rasato a zero, altro che la brillantina di Buni. Altro che quei baffi, tanto di moda tra i ciclisti. Qui c’è da soffrire, niente fronzoli.
Giovanni vuole solo e soltanto una cosa: la gloria.
Insieme a Petit Breton se la giocherà fino alla fine.
(…)
I fari delle specialissime, azionati con il dinamo, cercano di fare luce come possono. Se visti da lontano, i piccoli ciclisti si confondono con le lucciole, le prime della stagione. Lillipuziane palline gialle che vagano nell’aria come anime in pena, senza una meta. Una decina di automobili si accoda ai corridori: sono quelle del seguito. Sembrano fantasmagorie nella polvere notturna. A bordo ci sono dirigenti, giuria e qualche giornalista. Per i più fortunati, magari c’è anche un meccanico pronto a intervenire. Gerbi è già caduto, pare che un ragazzino gli abbia tagliato la strada e zac… Diavolo Rosso è cascato a terra gambe all’aria come un salame. Guasto alla bici, tre ore di sosta alla fabbrica della Bianchi e gliel’hanno restituita come nuova, ora è già ripartito, dicono. Vuole riacciuffare gli altri prima di Bergamo, dove è prevista la prima sosta meccanica. Poi proseguiranno per Peschiera, il Lago di Garda, e poi Verona, Padova, Ferrara e infine Bologna, ippodromo Zoppoli. Giusto per allungare un po’ il brodo. Chi ha disegnato il percorso è un sadico che non ha a cuore la fatica umana. Ganna, corre voce, è già in fuga, con il coltello tra i denti e gli occhi della tigre. Rossignoli, Pavesi, Petiti Breton e anche quell’outsider, Dario Beni, alle calcagna. Dietro di loro tutti gli altri. Ma è un cadere o sbagliare strada di continuo: chi finisce giù nei fossi, chi è costretto a repentine deviazioni per ritrovare il percorso. Il buio fa il resto: upupe, ratti e cani affamati sono i compagni di viaggio più frequenti. Una lunga parata di bestie e uomini, questo primo Giro d’Italia.

Certo, ogni tanto puoi farti aiutare dai fari familiari delle auto. Basta che ti metti davanti al cofano, ti fai piccolo e lasci che siano loro a illuminarti la strada: per qualche minuto vedrai un po’ meglio e potrai evitare buche e fossi. Ma è una pia illusione, presto o tardi la vettura ti supererà e sarà di nuovo buio.
Sarà di nuovo Giro d’Italia.

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