Le giovani Marmotte.


È così ci ritrovammo noialtri, giovani e freschi nuovi inscritti alla più prestigiosa Granfondo d’oltralpe.La Marmotte.
In altre parole: Col du Galibier e Alpe d’Huez in un sol colpo.
In altre ancora: 180 km e oltre 5000 metri di dislivello.
In altre altre ancora ancora: alzarsi alle 5 del mattino, affrontare la fredda discesa dall’Alpe d’Huez, dove saremo a pernottare, e guadagnare lo start a valle, a  Bourg d’Oisans. Imbaccucati come eschimesi per affrontare il rigore perfido degli zero gradi, se non meno, il mattino prestissimo, lungo i tornanti del mito.
Una terra che brulica Pantani come se piovesse. L’asfalto parla chiaro. Vernice fresca bianca, caratteri cubitali. Pelle d’oca assicurata.
Questa Marmotte me la voglio godere. Da giovane, vergine partecipante.
Questo sconfinamento mi eccita come un bimbo già 4 mesi prima. Anzi, a dirla tutta, mi eccita da un anno e passa. Da quando ho deciso di infilarla sotto il cuscino.
Poche e spoglie le notizie su questa maratona paurosa nelle terre della Grande Boucle.
Più spartana l’organizzazione e i servizi in gara, si dice. Niente a che fare con le granfondo italiane, in cui il ciclista viene accudito e rifornito lungo il tracciato. Qui hai il minimo indispensabile. Giusto un paio di ristori con frutta e niente verdura, per i più fortunati. Magari niente di niente per chi arriva dopo.
Davanti: un sole magari massacrante, come nella migliore delle tradizioni del Tour de France. E salite paurose, per lunghezza e per durezza.
Mi hanno detto che il Col du Galiber è forse il valico alpino più bello e affascinante in assoluto. Duemilaseicento e passa metri sul livello dell’ebbrezza più autentica.
Tornanti allo scoperto di una natura selvaggia e inospitale. Intensa come un carbone ardente.
Cose da Gavia o Stelvio, per intenderci. E se ri penso a quei due mostri sacri, messi in saccoccia l’anno andato, mi vengono i brividi.
Mi sento un cilco-nauta, alla ricerca del prossimo pianeta da conquistare.
Già perché sono così i mostri sacri, le vette oltre i 2.500 m. Hanno qualcosa di diverso dalle altre.
Fino ai 2000 m. sei sulla terra. Dopo no. Dopo prendi il volo.
Entri in una dimensione rarefatta che, una volta, tornati a valle, ci si troverà a domandarsi se è mai esistita davvero.
Forse s’è solo sognato lassù.
C’è qualcosa di magico e portentoso che porta alle vertigini, oltre i duemila metri.
Ricordo la galleria del Gavia, salendo da Ponte di Legno. Una fantasmagoria. Una bocca nera che inghiotte e poi sputa in mezzo a una pietraia lunare. Un tunnel che conduce dritti in un freezer: temperature inospitali e severe.
E lo Stelvio? I due versanti in un giorno. La bellezza naturale della valle del Braulio, la scalinata monumentale e inquietante altoatesina. In mezzo: l’Umbrail e lo sonfinamento elvetico.
Cose lunari.
E ora. Ora mi attende sua maestà Le Galibier.
Sarò pronto?
Mi trovo a domandarmelo in una domenica d’inizio marzo, salendo in lungo e in largo il Colle Brianza. Con i compagni di sempre. Fraterne giovani marmotte alla ventura nelle lande brianzole.
I primi 100 km della stagione sono nel sacco. Un dislivello ancora misero e risibile, li accompagna.
Ma la gamba è pronta a entrare col cuore nella stagione più emozionante di sempre.

PS: domani sorteggio Ötztaler. Entro in silenzio-stampa.

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