Chlorodont. Un dentifricio in fuga.

Stelvio e Pubblicità
Un po’ come “Messico e nuvole”. Complice il Buondì Motta, e il suo recentissimo spot, in Italia si è parlato molto di pubblicità in questi giorni.
Vediamo come la racconta – o, meglio, la raccontava – un carrozzone navigato come il Giro d’Italia.
Siamo negli anni ’50, quando la tv ancora non c’era e il modo migliore per far conoscere i propri prodotti e indurre i consumatori italiani a comprarli era proprio la Corsa Rosa. Una magnifica occasione lunga 3 settimane e migliaia di chilometri, che avrebbe toccato tutto il paese, viuzza dopo viuzza, montagna dopo montagna, paesino dopo paesino. Altro che video virale, web content, o guerrilla marketing. Ci pensate? Tutti l’avrebbero vista. Magnifica fantasmagoria felliniana.
I “creativi” dovevano allora darsi da fare, scervellarsi: riuscire, nell’arco di qualche secondo (certo meno dei futuri 30 televisivi) a catturare l’attenzione della gente scesa per strada. Non era impresa facile. Si doveva ricorrere a metafore evidenti, provocatorie, a volte quasi grottesche, forse persino più di quella dell’asteroide nel commercial Buondì di cui sopra.
Si doveva far sì – in una parola – che i bimbi del dopoguerra si girassero e quasi più che Coppi o Koblet guardassero quella merendina là, le mamme quel determinato lucido da scarpe e gli uomini… beh, che diamine, una bel dopobarba.
Bene. E come riuscirci?
Semplice, la ricetta era “colpire”: con ironia, umorismo e un pizzico – che non guasta mai – di sprezzo del pericolo.
State a sentire un po’, ad esempio, cosa capitò al Giro d’Italia del 1953, vinto da Fausto Coppi, proprio sui 48 tornanti dello Stelvio (versante Prato). Ed era il 1 giugno, non aprile.

veicoli-pubblicitari-03-665x488

 

Koblet, Coppi e il tacco Ebano. 
Come diavolo faranno a passare di qui i mezzi della pubblicità? Fallo salire tu il furgone della carne in scatola “Simmenthal” per questi 48 tornanti, con quel suo enorme barattolo, da cui fuoriesce addirittura una grossa mucca di plastica che pigia forsennata sulla motrice. Brucerà la frizione come minimo. E che dire dell’auto dell’amaro “Cora” che pare quasi una lettiga così conciata? Con 3 bottiglie giganti – tre non una, e per fortuna non di vetro – sopra il tetto. Si ribalterà in curva, è matematico.  E vogliamo parlare dei dentifrici? La “Binaca” sfoggia lunghe auto a forma di tubetto, la Durban’s – “il dentifricio del dentista” – ha uno spazzolino di 3 metri per 2 sulla capote, e la Chlorodont? Due tubetti, razzi capaci di imprimere doppia velocità al veicolo. Sul cofano un sorriso smagliante – di donna ovviamente – a 32 denti. Tutti questi mezzi stravaganti come faranno a salire sul passo dello Stelvio, a 2.758 metri sul livello del mare, tra Trentino Alto Adige e Lombardia?
Del resto, con tutta quella gente per le strade, e per ben tre settimane, l’occasione è troppo ghiotta. Le agenzie di pubblicità fanno a gara a commissionare ai carrozzieri l’ideazione di mezzi di trasporto avveniristici da far sfilare durante il Giro. La “Corsa Rosa” offre infatti un’ottima piazza, un intero Paese, per far conoscere alla gente dentifrici, succhi di frutta, carne in scatola, e ogni genere di ben di Dio. Chi ha l’idea più stravagante, purché sia a quattro ruote, vince. Il lucido da scarpe Ebano si è presentato addirittura con un mezzo a forma di calzatura da uomo. L’abitacolo nel tacco, i fari abbaglianti in punta. I vigili di mezza Italia sono impazziti per far capire agli organizzatori che quel mezzo no, non poteva circolare. Contravveniva infatti alle più basilari regole della viabilità. Nulla da fare, l’Ebano aveva ottenuto il permesso di girare il Belpaese in lungo e in largo, seppure per sole tre settimane.

Advertisement and Imagination on Wheels in the 1950s and 1960s (6)

Certo, finché si è in pianura o in collina, o nelle grandi città, questi mezzi, introdotti solo da qualche anno, sono fantastici. Uno splendore. Tutti li guardano, tutti ne rimangono colpiti. Ma appena tocca salire sulle montagne, soprattutto se impervie e alte come lo Stelvio, come diavolo si fa?
Nessuno l’aveva messo in conto questo passo alto quasi 3000 metri, al confine con la vicina Svizzera. Una montagna alta fino all’impossibile, al suo esordio assoluto al Giro d’Italia. Con quella sua carrozzabile che da Prato, in provincia di Bolzano, si inerpica verso l’alto lungo la valle di Trafoi quasi fosse una scultura lunga 25 chilometri. Non uno di meno. Lo fa, per giunta, senza sosta, con pendenze costanti che si attestano tra l’8 e il 9% e tornanti che sembra di essere sull’ottovolante. Ecco, facceli salire tu quei dannati mezzi che sembrano squali o siluri, quasi una parata carnevalesca, su per di qua! Un macello.

2e146e7c838014f60b6ec2ba269f8136

Senza contare che poi, dalla cima del passo, gli stessi dovranno avere il fegato di scendere dall’altra parte, verso la Valtellina, verso Bormio. Viene il mal di testa solo a pensarci. Altri 22 chilometri di tornanti e passione, seppure meno ripidi e meno tortuosi di quelli del versante altoatesino. Si scende lungo la valle del Braulio, incastonata tra le rocce, con le cascate e i prati, verdi d’estate, bianchi di neve in inverno. I polpacci dei conducenti, c’è da scommetterci, saranno in preda all’acido lattico più di quelli dei ciclisti. Crampi assicurati, a furia di pigiare sul freno.
E i ciclisti, i veri protagonisti della giornata? Quasi ce ne si fosse dimenticati. I ciclisti come faranno a farsi largo in mezzo a questa selva di mezzi corazzati? Coppi, se tenterà la fuga, dove passerà, tra un tubo di scappamento e una motrice di camion? E la maglia rosa Hugo Koblet, se deciderà di contrattaccare, si farà largo tra i tubetti di dentifricio e il lucido da scarpe? Suvvia. Sul passo dello Stelvio i mezzi della pubblicità non ci devono salire, o sarà un massacro (…)

Continua a leggere “Stelvio” su “Storia e geografia del Giro d’Italia” (Utet 2017)

Tutti i materiali su “Storia e geografia del Giro d’Italia” li trovi qui