Ossigeno.

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Oggi vi voglio raccontare, dal mio libro (a proposito: mi sono arrivare le bozze, che emozione!), la storia di un piccolo farmacista milanese che sopra i duemila metri cominciava a ragionare. Sotto andava in crisi d’ossigeno: ce n’era troppo e gli mancava l’aria. 

Come faceva?
State a sentire. 

(…)

Conosco Emiliano, il “farmacista-ciclista”, partecipando a una discussione su un forum online dedicato alle salite in bicicletta.  Mentre cerco nuove montagne dove allenarmi vicino a casa durante i mesi invernali, m’imbatto in questo curioso personaggio che mi dispensa consigli e suggerimenti preziosissimi. Incuriosito, leggo con attenzione anche gli altri suoi commenti e in fretta scopro che ha all’attivo una quantità di imprese compiute su vette superiori ai duemila metri impressionante. Al confronto, i miei “scalpi” sbiadiscono. Non solo, ma i passi che per me sono stati conquiste ricche di soddisfazioni immense, per lui sono come i classici della letteratura: mandati a memoria ormai da anni.

Ma la cosa che più mi sorprende di Emiliano, più ancora delle sue conquiste in bicicletta, sono le sue fotografie: scatti digitali postati a corredo dei suoi commenti sul forum, di una bellezza rara. Addirittura scopro che c’è un’intera sezione sul sito dedicata alle sue immagini. E capisco in fretta perché: si tratta di centinaia e centinaia di istantanee degne del “National Geographic” tanto sono belle. Cime alpine immacolate, laghi di montagna cristallini, valli aperte nel verde che più verde non si può. Da queste foto, mi accorgo, traspare una pace assoluta. In tutte, nessuna esclusa, è presente, in qualche modo, quel “cominciare a ragionare” oltre i duemila metri. Difficile spiegare dove sia, ma c’è: forse nel cielo, forse nell’assenza di figure umane, forse nella luce particolare di questi scatti. Roland Barthes direbbe che possiedono il “punctum”: ovverosia quell’aura, quel qualcosa di magico e inaspettato che cattura l’attenzione di chi le guarda. Ecco, il punctum, nelle foto di Emiliano, sono i “duemila metri”. Tutte le sue immagini sono infatti scattate da quella quota in su, nessuna sotto. A contribuire all’armonia incantata e invitante dei suoi scatti, c’è il fatto che questi eden alpini sono sempre immortalati in giornate da urlo. Senza una nuvola. Cielo terso, color carta da zucchero, luce perfetta sempre. Come è possibile? Come diavolo avrà fatto a trovare sempre bel tempo?

Così, affascinato dai suoi ciclo-viaggi e stregato dalle sue fotografie, decido di scrivere a Emiliano una mail privata. E lui mi risponde subito. Mi dice che, oltre che ciclista “salitomane” e appassionato fotografo, è anche un esperto meteorologo: conosce siti professionali e sa leggere le “carte”. Per questo, mi dice, ha imparato ormai da anni a programmare alla perfezione le proprie ciclo-escursioni. Non ne sgarra una. Del resto, mi dice, in alta montagna con il meteo c’è poco da scherzare.

E c’è da credergli, Emiliano le Alpi in bicicletta se le è fatte tutte. Da quelle italiane a quelle francesi e, soprattutto, alle sue preferite, quelle svizzere. Dice che quando in bicicletta supera i duemila metri di quota è come se entrasse in un’altra dimensione, tutta sua, privata. Dimensione di cui non può più ormai fare a meno. Come fosse una droga. Lui deve continuare a salire. Come dargli torto? Mentre pedalo sopra i duemila metri, qui appena fuori da Valloire, in mezzo a prati verdi, spazi aperti e un cielo “blu emiliano”, anche io credo di provare quella sensazione.

Il mio nuovo amico spiega che, più sale oltre i duemila metri, più ne sente il bisogno. E, ovviamente, più in alto va, meglio è: una volta, con la mountain bike, mi racconta di aver raggiunto addirittura quota 3.500 metri. Non esistono, infatti, in Europa strade asfaltate che arrivino a quella quota: la più alta è il Pico de Veleta, in Spagna, nella Sierra Nevada, che tocca i 3.300. E allora lui ci va in mountain bike, seguendo sentieri impervi e mal tracciati, dove sembra più facile perdersi che ritrovarsi. In questo modo sale più in alto, dove l’asfalto non può arrivare.

È come se Emiliano cercasse ossigeno, proprio lì dove comincia a scarseggiare. Penso voglia la luna. Il richiamo dell’altitudine e della fatica sono in lui così forti che è difficile vederlo resistere in pianura per più di qualche giorno. Appena arriva il venerdì è già ora di progettare un altro “duemila metri”, se non “tremila”.
Nelle sue uscite in solitario la pianura manca quasi completamente: perfino quella necessaria per avvicinarsi alle montagne, quella di riscaldamento. Emiliano, alle salite, preferisce avvicinarsi in auto per iniziare a scalare senza inutili e fastidiosi preamboli. L’unica volta che si è trovato a fare un tratto pianeggiante, lungo una statale, è stato investito da un’auto. Per fortuna niente di serio, ma era il segno che lui la pianura non la deve fare. L’unica cosa che conta è andare a caccia della luna. Sempre più in alto.

Anche per me sopra i duemila metri si spalanca una nuova dimensione. Sicuramente oggi mentre salgo verso il Galibier, ma non solo.

“Prima o poi, però, i duemila metri inesplorati finiranno” dico a Emliano. Lui mi risponde di no con sicurezza: come chi ha trovato un forziere pieno di monete e pepite d’oro senza fondo e lo tiene nascosto agli altri. Ce ne sono sempre di nuove, mi dice con gli occhi che gli brillano, basta saperle cercare. Ovverosia: allontanarsi dalle strade più battute, avventurarsi per montagne e valli apparentemente secondarie.

Così il venerdì sera, Emiliano, da anni, chiude la sua farmacia di Cornaredo, nella periferia sud di Milano, punta la sveglia e il giorno dopo si alza alle quattro. Parte con il buio, in auto, fari accesi e occhi forse un po’ assonnati, alla volta del Trentino, della Svizzera, ma soprattutto della Val d’Aosta e del Piemonte. Da qui ha scalato tutte le vette più famose e non del suo palmares, e da qui ha disegnato – mi racconta – un anello ormai divenuto celebre tra tutti membri del forum. In molti l’hanno provato trovandolo perfetto. Si tratta di un itinerario estremamente impegnativo che Emiliano ripete, come fosse una routine, anche cinque-sei volte all’anno. Dalla primavera all’autunno. È un anello che ovviamente conduce oltre i duemila metri di quota e che lui ha battezzato “Susa-Susa”. Si parte cioè da Susa, in Piemonte, a due passi da Torino, e si ritorna sempre a Susa, dopo centocinquanta chilometri di ben di Dio. Col du Galibier, ovviamente, compreso. Il tutto in giornata: parti all’alba, in auto, da Milano e torni al tramonto, giusto in tempo per doccia e magari aperitivo con gli amici. Piccolo particolare: Emiliano non beve e non ama le compagnie affollate.

È un cicloamatore solitario. A differenza mia, non partecipa, per scelta, alle granfondo. Ho provato a convincerlo a venire con me oggi a La Marmotte. Niente da fare: mi dice che non gli piace la folla, che odia l’agonismo, che gli eccessi, la confusione di queste manifestazioni proprio lo indispettirebbero, gli rovinerebbero il piacere della bicicletta. Lui sale da solo, punto e basta. E cerca solitudine. La sua pedalata non è “sociale”, ed è molto difficile strappare un’uscita con lui,  praticamente impossibile. Tanto che a volte mi domando se lui e le sue montagne esistano davvero o non siano semplicemente un prodotto della mia fantasia ciclistica, uno sorta di sdoppiamento della mia personalità in pieno stile Fight Club. In fondo anche io sono un po’ Emiliano: anche a me la bici piace per cercare solitudine e meditazione interiore. (…)

(La foto del post è ovviamente opera di Emiliano)

IMPORTANTE: Tutti i materiali, le riflessioni e le anticipazioni sul libro in uscita per Fabbri, li trovate raccolti in CICLOFFICINA.