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Confessione di un ciclista pericoloso.
PREMESSA: fermi fermi fermi! Non pigiate play lassopra. Non ancora. Prima leggete, masticate, mandate giù. E’ uno di quegli annunci importanti. Poi, ma soltanto poi, me lo dovete promettere, pigiate play.
Promessa da boyscout.
Buon lettura.
Comincia una nuova fase delle mie personali pedalte.
Eppure mi piace pensare che in realtà non cambi niente. Ingenuo, vero?
Non lo so se sono ingenuo. Sinceramente frega niente.
Ve ne ho parlato poco. È arrivato il momento dei grandi annunci. Sapete, la cosa strana è che, come tutti i grandi annunci, anche questo avrei voglia di procrastinarlo all’infinito. Come una fuga in solitario, nella quale non vuoi sapere chi ti sta dietro, a quanto è da te e se ti sta per riprendere.
Uno di quegli annunci che ti imbarazzano, ti preoccupano e ti spaventano come una rasoiata al 20%. Insomma: fermi tutti, fatemi scendere!
Beh, il fatto è che scendere non posso proprio. Sarebbe da pazzi. E la vita è una sola.
Ecco, in questo momento vorrei fare come Oblomov: stare fermo, non alzarmi più dal divano. O andare in fuga, senza sapere. Che poi sono la stessa cosa.
Ma non lo posso fare. Non avrebbe senso. E, da ultimo, non sarebbe nemmeno corretto nei vostri confronti di lettori/trici.
E allora, dunque, prendete carta e penna. E segnatevi quanto ho da dirvi.
Un’ultima raccomandazione: prendete questa come una piccola confessione grande. Come una di quelle sedute piscanalitiche, non so se a voi sia mai capitato, a me sì, in cui vuotate il sacco. E lo fate con fragore. Una volta per tutte.
Ecco. Pronti? Bene. Io no. Ma fa lo stesso.
Squillo di trombe. Colpo di pistola come si fosse a Solden il 25 agosto alle 6 del mattino, in griglia.
Martedì sera (alle 18:00 per la precisione) su Sky nasce un nuovo canale tv.
E fin qui tutto okay.
Si dà il caso però che tale canale si chiami, come vedrete lassopra, Bike Channel. E che sia interamente dedicato a chi pedala. E anche qui: poco male. Anzi: che bello!
La notizia, quella vera, è che io ne sarò il responsabile editoriale.
Ecco, ora l’ho detto. Andate. Sù, che c’è la partita.
Oddio, che silenzio.
Ci siete ancora?
Come dite? Neinte di male, anzi solo di bello.
Veramente?
Pensate che ne sia capace?
Posso andare tranquillo (tanto non lo sono per niente) allora?
Come dici, tu in terza fila: cosa vuoi che sia per me che ho fatto lo Stelvio, il Gavia, il Mortirolo, 5 volte il Pordoi, il Sella, il Giau e la Marmolada, il Galiber e l’Alpe d’Huez?
Non lo so cosa voglio che sia.
Una cosa però l’ho capita. Io sono hegeliano dentro. Se qualcosa accade è perché deve accadere.
Sono arrivato qua.E qua, evidentemente era necessario che arrivassi.
Partendo da un piccolo blog con le foto in bianco e nero di mio nonno sul Sella nel ’35 strette tra le mani. E una bicicletta, regalatami per caso da mia moglie: pedala – mi fa – è una di quelle cose che, secondo me, a te vengon bene.
“Pedala”. Una parola.
E ora, guarda te, che casino che ho combinato. Babbo, aiuto!
Io volevo solo pedalare e scrivere. Non volevo tutto sto pandemonio.
Già. Pedalare e scrivere. Forse nella vita è chiedere troppo. Occorre avere il coraggio di accettare dove ti porta al salita.E a me ha portato qua.
Sapete, stanotte ho fatto un sogno. Uscivo a pedalare: c’era la luna e c’erano le stelle. L’aria era tersa e frizzante. Avevo poco tempo: dovevo sfruttarlo al massimo. Ingranavo il cinquanta e provavo a volare, senza riscaldamento. Ma la bici era come zavorrata. Come se nel borsino sottosella avessi le pietre della Roubaix e al posto delle gambe due legni. Come se mi stessi portando dietro un enorme rimorchio fatto di tante cose: le foto del nonno, ma anche le montagne del Galibier: quelle sono pesanti parecchio. E poi, le immagini di tutti gli amici con cui ho pedalato. Gli occhi di mia moglie – quelli i più pesanti – quando mi ha regalato quella bicicletta. Una valigia carica, enorme, insvuotabile. Dovevo – e non potevo fare diversamente – portarmela dietro.
Credo, ma lo chiedo al mio psicanalista virtuale qui, cioè voi che leggete, fosse la mia vita. Che dite?
Sì, era la mia vita. Ho capito.
E ho capito anche che forse è arrivato il momento, quello grande, che capita una volta sola, di prenderla e pedalare.
Senza paura. Senza dimenticarsi niente di quello che ti ha portato qua.
In fondo: là dove c’è pericolo cresce anche ciò che salva.
Ci vediamo martedì sera, alle 18. Puntuali, eh.
Portate i pop corn. Io porto le barrette.
Il ciclismo siamo noi.