Lo sport più bello del mondo.

Ettore, Patroclo e Achille erano a Siena e io li ho visti.

Ettore, Patroclo e Achille erano a Siena e io li ho visti.

Non ho timore a scriverlo.
Non ho timore a pensarlo. Il ciclismo è lo sport più epico, intenso, drammatico e bello del mondo.
Nulla che sia drammatico è mai stato anche brutto. C’è un’armonia epica ed estetica unica nel dramma.
La tragedia greca, da Eschilo a Sofocle insegna. Nietzsche fa il resto.
E il ciclismo è uno sport intrinsecamente nietzschiano. Cosa è il doping se non il fuoco che Prometeo/Amrstrong ha rubato agli dei per essere come loro?
Peccando di ubris: tracotanza.
E come non avrebbe scritto Sofocole una Pataneide? Cosa c’è di più intimamente tragico e drammaticamente bello della storia di Marco nostro?
Sì, signori miei. Il ciclismo è lo sport più bello, teatrale e poetico del mondo. Altro che braghe corte e veline.
Ebbene si dà il caso che la nuova occupazione mi abbia dato occasione di tocccarlo con mano.
Metti un weekend tra Gaiole in Chianti e Siena. Tra terreni gibbosi e insabbiati dalla storia, ed eroi prometeici a cavallo di dardi infuocati.
Metti un giorno baciato dal sole e dall’aria ancora frizzante del mattino presto, al foglio firma.
Metti 8 ragazzi belgi, impauriti, ma belli forti come gli Achei, pronti alla pugna.
Li vedi bardarsi per il destino. Di elmi fatati, e armature fiammeggianti: i loro colori. Il verde, l’arancio e il nero.
Metti un condottiero – “Il commissario” – governato da una forza tranquilla. Pronto a lasciar partire uno a uno i suoi ragazzi incontro al mistero, come un padre i figli.
Metti che tu sei lì, con gli occhi di Alice, ancora in attesa del cappellaio matto, ma giù con mezzo paese delle meraviglie sotto il braccio, a vedere tutto. Tutto.
Non fai in tempo a voltarti che Gaiole in Chianti si è trasformata in un inferno di polvere: la battaglia ha inizio.
Il coro comincia a recitare.
Gli Achei vanno alla pugna ignari e magnficamente inscoscienti. Cancellara pare Patroclo, Evans Achille.
Bronzi di Riace della pedivella. Armigieri medioevali del cinquanta. Cowboy o indiani nel western più bello del mondo: la Strade Bianche.
La Roubaix del mediterraneo, la classica non ancora classica, l’inferno del nord bagnato dal Chianti, la polvere – divenuta pirica – delle strade più antiche d’Italia.
C’è qualcosa di forte come il whisky nel vedere il polverone da lontano, nel percorrere in anticipo i muri al 20% che questi soldati pronti al destino percorreranno a perdifiato. Come funamboli incoscienti: qualcuno cadrà da cavallo e verrà trascinato come Patrocolo nella polvere. Si verserà sangue, lacrime, gioia. In quello che – ti rendi conto – è uno scenario da Epos come pochi altri al mondo.
Fino all’incredibile, spericolato, bello e impossibile arrivo.
Già, quasi te ne sei dimenticato e Siena è lì a uno sputo. Un gioiello incastonato nel verde intenso di una collana di colline. Perle cucite a mano fra loro da qualche mano che non può aver fatto tutto a caso.
Ci sono pochi momenti nella vita in cui ti rendi conto che l’Italia è davvero (dico davveo) il Paese più bello del mondo. Ecco: una gara ciclistica è l’occasione migliore per appropriarsi in un lampo di questa certezza.
Ma silenzio: Radio Corsa emette il bollettino di guerra in un tweet: “finale incredibile, 4 in fuga, può succeder di tutto”.
E ti scopri ad avere ancora la pelle d’oca. Come quando hai visto in faccia il Galibier la prima volta.
In un attimo ti accalchi a perdifiato nei vicoli del Palio, in una Siena che pare aver capito cosa c’è in palio davvero, più del Palio.
Un ‘orgia di silenzi masticati nell’attesa. Finché un messo, giunto da una Maratona lontana, corre ad annunciare: Moreno Moser è in testa.
E allora ecco che li vedi.
Le armature divelte, i cavalli impolverati e con gli occhi rossi sfavillanti. Il clangore di un’armata pronta a mettere a ferro e fuoco la silente capitale di Chianti.
Lo strappo è di quelli che fan male: 16% in un vicolo che pare portato qui con il teletrasporto dai muri delle Fiandre.
Ed eccoli. Gli eroi. Così umani, che ti stupisci a non esser tra loro in un’enorme e metaforica granfondo felliniana della vita.
I colori sono tanti: c’è il viola Lampre, il giallo lime Cannondale, e tra le cromie eroica, magnifici e imprevisti scorgi anche il verde, arancio nero dei tuoi. Ci sono anche loro, in mezzo al plotone che conta.
Le ammiraglie piombano come carri al seguito.
Il commissario passa, lo saluti e lui risponde con colpo di clacson. Sono le cose che ti restano.
I guerrieri sono passati.
L’assalto finale è tutto italiano. La voce si sparge: Achille si chiama Moreno.
La catarsi finale, come in ogni tragedia greca che si rispetti, si consuma insieme: attori e spettatori. Tra lacrime, risa e canti liberatori.
Ed è tra gli autobus, tra i motorhome della Cannondale o del team Radioschack. Dietro le mura di un Siena avvolta e commossa dallo spettacolo.
La catarsi ha il volto di un abbraccio intenso, poetico, come pochi ne ho visti.
Tra gli eroi e il loro commissario. Un momento tutto loro.Tutto nostro.
La polvere sui volti mi ricorda quella delle facce attonite dopo la Roubaix.
Le risate liberatorie quelle di tante granfondo vissute con tensione prima e gioia immensa poi.
In ognuno di noi c’è un eroe che scalcia e vuole combattere. In fondo: vogliamo solo sentirci vivi.
Il ciclismo è lo sport più bello del mondo, fratelli.
Date retta.
Amen.

PS: Questo post è dedicato a Marco Saligari, grandissimo condottiero d’eroi.