Polvere di stelle.

Giugno sono 30 giorni. Dunque ne fanno esattamente 31 al 7 luglio.
Quest’anno parlo francese, come prima lingua.
E in particolare le espressioni migliori mi vengono sopra i 2.600 metri di altitudine. Impastate di ricordi pirateschi e voglia di toccare con mano quel che è stato il terreno di una favola nel lontano luglio ’98.
Sì, insomma, tra un mese vado a fare il Galibier. Giù la maschera.
Dopo Gavia, Stelvio, torna la sensazione di ossigeno rarefatto. Di luoghi inospitali all’uomo, incassati tra rocce glassate di bianco, seza l’ombra di un albero.
Torna la voglia di partire dal basso. Da molto in basso. E di salire in alto. Molto in alto.
Torna la voglia di over duemila. Anzi di over duemilacinque.
Solo chi è stato lassù può capire il fascino manniano de “La montagna incantata”. Un luogo non luogo, dove  le sensazioni sono al riparo dal rumore, dallo stess, dal tran tran.
I copertoncini (i miei, per la verità, non così fortunati al momento: squarciato Grand Prix 4000 anteriore durante l’ultima uscita) paion sollevarsi da terra.
Già, perché pare esserci un po’ d’aria sula terra in quei luoghi, una sorta di polvere di stelle fatata che ti fa andare in modo diverso.
Cresce ove la vegetazione smette di farlo: sopra i duemila metri. Di colpo, senza preavviso.
E da lì, se guardi bene, potrai notare sotto il tuo copertoncino posteriore sollevarsi una strana scia di polvere cromata. A prima vista potresti pensare a un’illusione ottica. Invece, se ci fai caso meglio, vedi che no. È proprio lei: come le lucciole di tarda primavera. Polvere luminosa. Shining delle meraviglie.
Come dite, non l’avete mai visto? Sicuri di essere stati sopra i duemila metri di quota in bicicletta?
Io dico di no.
Già, perché se vi foste stati, non potreste non averla vista. La polvere di stelle.
È là, anche adesso, si solleva a ogni colpo di 34 che date. Va alla velocità della vostra RPM. Round Per Minute. Ogni giro di pedale, un giro di giostra vinto. La polvere di stelle la fabbricate voi. Una magia autoprodotta dal corpo umano.
Ma per ottenerla per bene, di quella che fila via come una stella cometa, occorre partire dal basso, da molto in basso.
Da Saint Michel de Maurienne, in piena Savoia, per la precisione. Alla bellezza, faremmo meglio a dire, bassezza, di 730 m. slm.
Non un piede in più non un piede in meno.
Si dà il caso che prima di vederla comparire, la polvere tanto amata, dovrete faticare non poco. Scollinare una prima volta, senza illudervi eh, intendiamoci: sarete solo a 1566 m. slm. Ne avrete ancora di strada da fare. Anzi di sturdust.
C’è una canzone di David Bowie che lo spiega bene questo strano fenomeno. Occorre andare in orbita, dice. E di lì, si comincia ad assaporare tutta un’alta vita. Quella sospesa del cielo. Perdendo contatto con la terra.
Ecco lì, verso i 1990 metri, comincerete a vedere qualcosa che si rarefà sotto i vostri pedali, al vostro incedere: sono i primi brandelli di quella che solo poi riconoscerete in tutto il suo splendore. Polvere di stelle, amici miei.
Io l’ho vista. Ossì, che l’ho vista. Un anno fa, salendo da Ponte di Legno, e poi di nuovo, qualche mese dopo, salendo da Bormio, e di nuovo ancora: da Prato allo Stelvio, lungo il torrente Solda.
Ecco, è inizio estate, tornano le lucciole del dislivello, torna la polvere di stelle degli over 2000.
It’s only galibier, but I like it.