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Un anno nel sacco.
La partita più importante è sempre la prossima.
(José Mourinho)
Non sono di quei ciclisti che si segnano il numero esatto di km fatti nell’arco dell’anno. Non mi interessano le migliaia di metri di dislivello scalati, il numero preciso dei duemilametri conquistati, ecc, ecc.
Troppo ingegneristico. E poi, volete mettere settare la funzione sul garmin, perdermi in un mare di calcoli, io che a scuola ho sempre avuto problemi in matematica?
No. A me interessano le emozioni.
E quelle di questo 2011 sono state tante.
Su tutte, me ne sono segnate sul mio taccuino personale la bellezza di 4.
E visto che va tanto di moda Twitter (a proposito: visitare immediatamente la pagina pericolosa, mi raccomando), ho provato a sintetizzarle in pochi caratteri.
Ah, dimenticavo, s’intenda: ho fatto tutto ciò anche (anzi, forse, soprattutto) per farmi coraggio. Il 2012 che ho davanti sarà veramente un anno monster.
Buona lettura.
domenica 22 maggio – Cesenatico
Il primo “Lungo” della Novecolli non si scorda mai.
I primi 200 km sembrano una marea. Eppure se hai pazienza li fai. Non ne ho mai fatti più di 150 in allenamento. Chissenefrega, li fai. E i due anni precedenti, al bivio posto dopo il mitico Barbotto, ho sempre tirato dritto. Chissenefrega, quest’anno volti a destra. Quasi nessuno ormai lo fa il lungo: la novecolli è diventata una gara dove la stragrande maggioranza dei 12 mila partecipanti opta per il più saggio medio di 130 km e 1.900 m. di dislivello. Chissenefrega, tu ne fai 207 di km e 3.800 di metri di dislivello. Mica sei paglia. Sei ciclistapericoloso.
Scegliere di piegare a destra dopo il Barbotto, significa fare una svolta in senso lato. Con il passato. Da oggi entri in un’altra dimensione. Che segna il confine tra chi questo sport lo pratica per diletto e chi fa sul serio. Da lì in avanti, sai che “puoi”. Impari a coprire distanze importanti, a gestire uno sforzo non da poco, a scendere a patti con il tuo corpo, a capirlo e a gestrlo. Impari come e quanto mangiare. Come e quanto bere. Come e quanto piangere.
Sì, avete capito bene: piangere. Già, perché quando varcherai il traguardo, l’emozione sarà difficilmente contenibile. Lo farai con i tuoi compagni, stretti in un abbraccio spontaneo. Forte. Da uomini. Il ciclismo non è cosa per femminucce.
Gf Giordana, ex Marco Pantani. Già, una parola. Anzi due: Gavia e Mortirolo. E qualche cifra: 155 km e 3600 m. di dislivello. Una salita, il Mortirolo, fuori categoria. In grado di fare la corsa da sola: o ce la fai o non ce la fai. Tertium non datur. Un’apnea lunga 12 km senza precedenti: comunque te lo immagini, il Mortirolo sarà più duro. Affrontato dopo il Gavia, con ben 120 km e oltre 2 mila metri di dislivello nelle gambe, anche di più. Io ci riesco. E ci riesco bene: fatto con gioia, pazienza e in qualche modo, amore. In compagnia del mitico Daniele Andy Shcleck. Eppure, nella mia testa, la montagna sacra che più attendevo e che più mi ha emozionato non è stata il tremendo Mon-tritolo. Bensì l’incantato Gavia. Un luogo dell’iperuranio. Una salita meravigliosa, lunga e cattiva al punto giusto. Hegeliana. Con stappi duri, un tratto al 16% nel bosco e una strada che, una volta sopra i duemila metri, fa paura: tornanti stretti a picco sulla valle, senza paracarro. Un paesaggio lunare e inarrivabile. Un serpentone di caschi colorati che sale. Una galleria lunga oltre 500 m precede il gran finale: nera come la pece. Come la bocca di un enorme Moby Dick, fa di te un sol boccone. Esci ed entri in un freezer di pietre e ghiaccio, sferzato dal vento. La vetta è epica allo stato puro. Conquista d’astronauti. La discesa su Santa Caterina e poi Bormio una magnifica picchiata. Inebriante.
Domenica 11 luglio – La Villa in Badia
Casa. Ogni volta che esco a Chiusa di Valgardena dall’A22 del Brennero, mi vengono i brividi. Mi sento a casa. In un mondo ovattato di pini, pietre e colori rosso-arancio. Quelli del tramonto su queste stregate valli altoatesine. Ci venivo a sciare da bambino con mamma e papà (Ortisei), ci torno a pedalare da adulto (Corvara). La Maratona, alla mia terza partecipazione ufficiale, è ormai un rituale sciamanico. Un rito collettivo che si consuma in poche ore. Alle 6 il via delle tarantate del dislivello. Nel 2010 portai a termine il mio sogno: concludere il percorso lungo. Ero solo, al bivio un brivido mi percorse la schiena. Quest’anno, fresco di Mortirolo e Gavia, e in compagnia del fedele Pitone, voglio strafare. Mi sento bene, vado via agile scattante lungo il Sella Ronda. Dopo il secondo Campolongo, io e il Pitone insieme planiamo come due gatti sulla valle di Livinallongo. Saliamo il Giau sotto un caldo africano. Picchiata su Pocol con mezz’ora d’anticipo rispetto all’anno prima. Carognesca salita finale sul Falzarego e ultimo GPM. La val Badia si apre ai miei occhi subito dopo “Intrà i Sass”, lo stupendo e ormai, mio preferito in assoluto dei 7 passi affrontati, Valparola. Agguanto l’arrivo in 7:49 con 27 minuti meno del 2010. Rock n’ roll.
Sabato 3 settembre – Cepina Valdisotto
Per ogni ciclista c’è un prima e dopo lo Stelvio.
Domare lo Stelvio da entrambe i versanti nello stesso giorno dà un senso di completezza ulteriore e raro. Come se davvero quella montagna la si possedesse davvero tra i propri fondamentali. E lo Stelvio è sicuramente indispensabile alla Bildung del ciclista che si rispetti. Ci arrivo tardi allo Stelvio, dopo quasi 4 anni di bici. Ma ci arrivo in grande stile. Nell’anno magico: Gavia, Stelvio, Mortirolo. Le montagne che più ho sognato, quelle su cui ho più fantasticato.
Siamo in 11, saliamo da Bormio al mattino presto. La giornata è perfetta: non una nuvola, temperatura estiva, nonostante si sia già a settembre. La valle del Braulio mi cattura per bellezza selvaggia. A tratti la salita mi ricorda il Gavia: soprattutto perché, come il valico bresciano, è più lunga rispetto a quelle che sono solitamente abituato a fare a casa. Colto il primo scalpo, ridiscendiamo rapidi fino al bivio con il Passo Umbrail. Indi, discesa, con tanto di 3 km di sterrato nella parte centrale, fino a Sils Maria, Svizzera. E rientro a 40/h in Alto Adige, fino a Prato allo Stelvio. Da qui la lunga, interminabile scalinata. Quella inquadrata da mille immagini.
Bene. Ci sono 2 salite che mi hanno fatto davvero soffrire, ma soprattutto prosciugato le energie una volta conquistate, nella mia storia con il dislivello: una è il Mortirolo da Mazzo, l’altra è lo Stelvio da Prato. Nulla a che vedere con il versante di Bormio. Per lunghezza: là sono 22 km, qui 25. Per pendenza: là, a parte un tratto al 14%, si mantiene sempre su livelli tutto sommato dolci e ha un lungo troncone pianeggiante ai 2000 metri utile per respirare, qui invece è costantemente tra l’8 e l’11%. Senza momenti di stop. Lo Stelvio, versante altoatesino, si vorrebbe finisse molto prima di quando invece, purtroppo (o per fortuna) non finisca davvero. Tardi, troppo tardi tardi. Hai già fatto in tempo a pensare di non farcela troppe volte. La sua durezza, ma anche il segreto della sua bellezza, stanno tutti qui. In vetta per la seconda volta in poche ore, ho i brividi. Di freddo, di passione, di fatica, di amore. La discesa finale su Bormio me la godo come poche altre. Meravigliosamente incastonata tra rocce via via sempre più strette, lungo lo scorrere del Braulio. Le gallerie finali sono buissime, fantasmagorie dell’impresa.
A Bormio atterro come un uomo che torna dalla luna. La testa ancora in orbita.
(fonte immagine: rapha.cc)