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London report.
Eccomi.
Scusate, periodo tosto. Dicevamo?
Ah sì. Buon anno, siamo nel duemiladodici. L’anno che finirà. O chi lo sa.
E allora meglio cominciarlo subito bene.
A suon d’acquisti pericolosi. Anzi, pericolosissimi.
Sì, insomma, avete capito: I’ve been in London last weekend.
Oltre agli acquisti, però, è stata l’occasione per notare un po’ di cose.
Rispetto all’ultima volta che c’ero stato (2005), la città mi è apparsa assolutamente matura dal punto di vista ciclistico.
Sia come diffusione del mezzo, sia, forse soprattutto, come cultura.
Impressionante l’incremento dei commuter, e del parco bici.
Una rapidità di diffusione con percentuali annue da capogiro. Pari a quella di un contagio chimico su vasta scala.
Qualcosa che da noi rimane ancora e solo una nebulosa dai contorni non ben definiti.
La cultura ciclistica. Già, che strano vocabolo per il Paese che porta il nome di Italia. Non c’è come andare all’estero, più o meno in qualunque altra capitale europea, per provare quell’amaro sentimento che porta il nome inequivocabile di “invidia”.
E, guardate, non sto parlando delle tanto gettonate dai giornali nostrani “piste ciclabili”. Palliativo dato in pasto al popolo dai media.
No, tutt’altro: a Londra, anzi, andare in bicicletta è anche più pericoloso che a Milano. Ma a Londra il messaggio “bici” uguale “cultura” è arrivato. Vivaddio.
A Londra, i ciclisti sono agguerriti. Consci dei propri diritti.Pronti a difenderli con le unghie e con i denti. Tanto che l’automobilista medio ne nutre un certo timore.
I ciclisti londinesi sono infatti una tribù, una posse armata di SIDI, caschi Giro, Rapha Jacket, guanti Gore. Tecnici, seri, pronti a prendersi i propri spazi. E dalla pedalata assolutamente professionale. Cadenza elevata, RPM altissime, ritmo costante. Percentuale dei telai da corsa, carbonio, allumino e acciaio assolutamente prevalente su qualunque altro tipo di velocipede. Segno che la città è matura per una pedalata seria, veloce, leggera, sinuosa. A lama di rasoio. Puro piacere per gli occhi. E voglia di buttarcisi dentro in questo tourbillon acrobatico e psichedelico. Mentre cammino fatico a sentirmi a terra.
Maglie tecniche, tacchette ai piedi anche nel cuore della City, caschetto, led anteriori e posteriori. E strade lunghe all’infinito, come piste da biliardo, su cui fondarsi ai 40 all’ora costanti. Non per tutti.Certo. È vero.
A Londra il ciclista medio è un ciclista serio. Uno che “pedala”. Uno che è abituato a correre e prendersi i suoi rischi, tra autobus a due piani, mini-cabs dalle manovre folli, rotonde che nemmeno in Brianza all’ora di punta. Insomma, pedalare a Londra è pericoloso. Ma tremendamente affascinate.
Immaginatevi tutta per voi, che si estende a parte a parte per 40 anche 50 km, una giungla d’asfalto. Immaginate strade larghe, senza pavé, che attraversano aree verdi enormi: da Hyde Park a Regent’s Park, all’incredibile Richmond. Immaginate che invece di andare ad allenarvi nei ritagli di tempo, tra una riunione e l’altra, vi allenate tutti i giorni per raggiungere il vostro posto di lavoro. In media percorrereste almeno 30 km al giorno, a velocità alta. Dannatamente alta. Aggiungete le uscite che normalmente fareste la domenica, e durante la settimana e alla fine otterrete dei polpacci marmorei. Degni dello Staulanza.
La cosa che più mi ha colpito del ciclista londinese è questa commistione tra urban e non urban. Il confine tra il ciclista urbano e il granfondista viene meno. E allora è bello vedere, lungo le strade di Notting Hill, drappelli di ciclisti, vestiti Rapha dalla testa ai piedi, passare leggeri e scorrevoli, come cavalli da corsa. Una magia.
Ho visto una città dove il ciclista si è arrangiato ad allenarsi percorrendola quotidianamente. Utilizzando la sua specialissima in carbonio, con ruote ad altro profilo. Una sorta di circuito urbano da brividi.
E poi, quando si è stanchi stanchi, tutti da “Look mum no hands“, al numero 49 di Old Street. Un bike caffè che è anche un negozio, che anche una ciclo-officina, che è anche un team, che è anche un po’ noi.
E poi proseguite per un paio di km fino al 51 di Gray Inn’s Road, da Condor Cycles: una sorta di quartier generale del team Rapha-Condor. Fate “ballare l’occhio” davanti a contata meraviglia: Assos, Rapha, Gore, Pearl Izumi, come se piovesse. E non piove. E scendete di sotto, magari dopo aver agguantato al volo una copia di Rouleur, a dare un’occhiata alla sala macchine. Cervelo, Sworks e Condor la faranno da padrone. Telai da “guardare e non toccare”. Nemmeno con il pensiero. Ma, amici miei pericolosi, che piacere per gli occhi. Che piacere. Prendetevelo tutto.
Ci vuole per ricarburare e partire per la nuova stagione con il piede giusto.
Magari, con nuovi “abiti da sera” da indossare pericolosi nelle occasioni di gala che ci aspettano da maggio a luglio.
London’s burning.