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Messico e nuvole
Moser in anteprima.
Stamattina sono stato al Cinemino di Milano a vedere l’anteprima di “Moser, scacco al tempo”, il film di Nello Correale sull’incredibile, doppio, record dell’ora stabilito da Francesco Moser a Città del Messico nel 1984. Il film verrà presentato al pubblico mercoledì 2 maggio in occasione del 66° Trento Film Festival.
Un record dell’ora, quello di Moser, frutto di un minuzioso, quasi maniacale lavoro di équipe. Un processo, da questo punto di vista, assolutamente pionieristico e avanti anni luce: nessun atleta italiano, ma probabilmente nessun atleta al mondo, era mai stato seguito così. Passo per passo, pedalata per pedalata, battito cardiaco dopo battito cardiaco.
Prima di Francesco Moser 1984, tutto nello sport era probabilmente ancora nell’universo del pressapoco.
Eppure quel ciclista venuto da Palù di Giovo, in Trentino, quel Moser che aveva già vinto 3 Parigi-Roubaix (unico italiano nella storia a riuscirci) da molti veniva ormai dato per finito. Aveva quasi 33 anni, tanti per uno sportivo, pareva sul viale del tramonto. E invece…
E invece proprio in quell’anno magico, il 1984, Francesco stravinse. Demolì il record dell’ora che apparteneva a niente popo’ di meno che al ciclista più forte di tutti i tempi, il “Cannibale” Eddy Merckx , stabilito 11 anni prima. Non solo, ma nello spazio di qualche mese, lo “Sceriffo” (così era soprannominato) vinse anche un incredibile Giro d’Italia (ai danni di Laurent Fignon, altro mio eroe personale). Un finale di carriera memorabile, forse unico nel suo genere. Ma anche la storia di un incredibile lavoro di team.
Ciak, si vince.
Tutto questo nel film di Nello Correale viene spiegato con il tono di un magnifico racconto popolare e intimista allo stesso tempo, che culmina con il record dell’ora di Città del Messico. Un film appunto, non un semplice documentario sportivo: ovvero narrazione pura, “trovando il giusto punto di distanza tra autore e protagonisita”, come spiega il regista a fine proiezione. E come, credo, dovrebbe essere sempre nel racconto sportivo. Macchina da presa e tastiera si incontrano: descrivi il tuo personaggio trovando la giusta chiave affettiva. Questo è ciò che cerco di fare anche io nei miei libri. Occorre mischiare sentimenti e vittorie, vita sportiva e vita privata fino a trovare il “Blend” giusto, come direbbero gli inglesi. “È poco drammaturgico Moser – mi spiega Nello dopo la proiezione, mentre chiacchieriamo – non si è mai fatto male, non ha mai avuto infortuni seri, niente lutti in famiglia, niente o quasi di storto. All’inizio mi sentivo spiazzato, per un narratore è dura raccontare chi non ha avuto contrattempi, chi non ha mai “perso” per davvero”. Eppure poi, prosegue “ti accorgi che il carattere di Francesco Moser è proprio quello lì. Uno che “vince”. La sua è una storia che è in continuo crescendo, e che culmina proprio nel finale”. Come dargli torto?
Ed allora ecco che sullo schermo d’essai del Cinemino di Milano scorrono le immagini di Moser da giovane, dei primi giri in pista, da adolescente al Velodromo Vigorelli di Milano con la scuola “Fausto Coppi”. E poi quelle della prima gara da “pro”, nel 1969, stesso giorno dell’allunaggio (ma lui si ricorda solo che a Palù di Giovo, il suo paese, c’era una festa locale). E poi il primo Mondiale, il pavé dell’Inferno del Nord, la rivalità, storica con Beppe Saronni: memorabile una litigata in diretta tra i due (Giro 1979) su chi doveva tirare e chi no. Un battibecco meraviglioso, che il film di Correale mostra nelle sue fasi salienti e che probabilmente non rivedremo mai più. Oggi sarebbe infatti inimmaginabile una cosa del genere tra due ciclisti, per quanto “nemici”.
Capitan Futuro.
Ma tornando al record dell’ora del 1984 (l’apice del film), una cosa mi ha colpito particolarmente: la cura, come dicevo, quasi ossessiva, per i particolari nella preparazione di Moser. Quasi quello fosse un esperimento e non un atleta, e in parte lo era. Fondamentale fu allora trovare un partner all’avanguardia assoluta capace di fasi carico, con la sua esperienza nella ricerca e nella nutrizione, dell’impresa. Fu il caso felice dell’Equipe scientifica Enervit. Un unicum nel suo genere. Nel film “Moser, scacco al tempo” vengono mostrati tutti i dettagli di quell’incredibile lavoro di squadra: dallo studio della preparazione (il record venne stabilito in altura, a 2000 metri di quota) all’alimentazione, persino al casco e alla celeberrima tutina aerodinamica. Anche qui avanguardia assoluta. Per tacere della bicicletta, delle ruote lenticolari: con la posteriore di diametro maggiore dell’anteriore. Praticamente Moser era un astronauta tutt’uno con la sua astronave. Il lavoro di squadra avrebbe mandato in orbita il 19 gennaio del 1984 uno shuttle avveniristico, non un semplice ciclista. Una nave del futuro, con a bordo il suo capitano “generoso”.
l’Équipe Enervit.
l’Équipe Enervit era chiaramente qualcosa di mai visto prima nello sport: una autentica squadra costituita da scienziati, medici, dietologi, nutrizionisti, fisiologi, traumatologi, biochimici e infine ricercatori provenienti dalle più prestigiose Università del mondo. Elettrocardiogrammi, encefalogrammi, analisi, test. Francesco era un laboratorio a cielo aperto, un luogo di sperimentazione permanente, fino all’ultimo istante. Anzi, forse, fino al sessantesimo battito di quell’orologio in quella incredibile, doppia, cavalcata vincente di Città del Messico: Moser battè infatti, alcuni giorni dopo, il suo stesso record, stabilito inizialmente il 19 gennaio (in anticipo sulla data programmata che doveva essere il 23), seppure di pochissimi centesimi di secondo. Lo fece, si disse, anche per i suoi tifosi: giunti lì per il giorno stabilito. Poteva lasciarli a bocca asciutta?
Un’impresa sportiva e scientifica senza precedenti, quella di Moser, che nel film viene raccontata come fosse una vera opera d’arte che si compie, dopo tanto scolpire, levare, togliere e mettere.
Il carattere del ciclista e Francesco Moser.
Per rendere omaggio a quell’impresa leggendaria (e invogliarvi ad andare a vedere questo film che verrà presentato, come detto, al Trento Film Festival mercoledì 2 maggio), vi lascio un estratto dal mio libro “Il carattere del ciclista” (Utet 2016), recentemente tradotto anche in Olanda (Xander) e in Germania (Piper). Ecco a voi “Il generoso Francesco Moser” (autore, assieme al nipote Moreno, anche della prefazione al mio primo “Ma chi te lo fa fare?”). Messico. E nuvole.
La bicicletta! Maledizione, non è ancora arrivata.
Hanno fatto pasticci a Linate con i bagagli, c’era da scommetterci.
Come se non bastasse, poi, la pista è ancora tutta un cantiere. Dovevano ricoprirla di resina entro Natale, e invece ora pare che un tecnico abbia mollato il lavoro a metà e se ne sia tornato in Italia a passare le feste con la famiglia. Che strane pretese.
La resina, prodotta da un’azienda di Bergamo, l’avete scelta tu e il tuo entourage. Ci sono stati vari consulti e anche una prova in bicicletta nel cortile dell’azienda, perché va bene fidarsi, ma poi, su quella resina, ci devi pedalare tu.
Test superato a pieni voti: il materiale è scorrevole, liscio come l’olio ma mai scivoloso.
La soluzione ideale per ovviare ai problemi dovuti alle numerose buche e irregolarità della pista del Centro Deportivo Olímpico Mexicano. Quella su cui dovrai correre. Un anello in cemento lungo esattamente 333,333 metri.
Contrariamente a quanto pensato inizialmente, infatti, avete dovuto rinunciare al legno del Velodromo Olimpico. Era in condizioni tragiche: le tessere squamate, malridotte, in alcuni punti persino distanti tra loro di alcuni centimetri. Troppo, ci si poteva rompere l’osso del collo. Altro che riuscire a compiere l’impresa.
Peccato, il legno avrebbe dato al record un sapore affascinante.
(…)
19 gennaio 1984, primo tentativo.
O, meglio, oggi dovrebbe essere la giornata delle “prove generali”, il vero appuntamento col record dell’ora è per lunedì 23, quando arriveranno i tifosi dall’Italia. Oggi dovresti limitarti a battere i primati intermedi: quello dei cinque chilometri, dei dieci e poi, eventualmente, dei venti. Se te la senti.
Tu invece, ovviamente, hai tutta un’altra idea in testa. Quella di regalare. Quella di essere generoso e tentare subito l’ora. Altrimenti che gusto ci sarebbe?
Quando vedi le tabelle programmate a tavolino, in te si scatena un moto istintivo innato. Un’irritazione, un’idiosincrasia, un senso di rivolta.
I tuoi preparatori lo sanno bene, per questo hanno studiato una tattica per cercare di arginarti.
Durante la preparazione, avete stabilito cioè che il record di Merckx si può battere in un solo modo. Mantenendo un’andatura costante e regolare, dal primo all’ultimo chilometro. In pratica devi procedere sempre alla stessa velocità. Niente colpi di testa, niente esagerazioni. Non devi fare come il Cannibale, che era partito a razzo e poi nel finale era calato. Ok, sono quisquilie, dato che aveva stabilito il primato da re.
Ma tu, se vuoi raggiungere la soglia fatidica – giudicata “impossibile” dai più – dei 50 all’ora e batterlo, dovrai pedalare con continuità. Senza sbalzi, senza eccessi. Uniforme e potente dal via all’arrivo come una palla da biliardo lanciata dritta in buca.
(…)
Per questo primo tentativo spingerai un 56 x 15. Solo a pensarci viene il mal di gambe. Ma lo sviluppo metrico che è in grado di dare questo rapporto alla tua catena sarà favoloso, l’arma in più per battere il Canibale. “Se lui era il più forte, allora noi lo fregheremo spingendo un rapporto più lungo”. In pratica a ogni pedalata dovresti guadagnare – se riuscirai ad essere regolare come devi – una decina di centimetri. Sommati tra loro, faranno la differenza che cerchi.
Potenza e regolarità contro foga e leggerezza. Generosità e centimetri contro ingordigia e cocciutaggine. Palù di Giovo contro Meensel-Kiezegem.
Chi vincerà? Questione di ore e lo si saprà.
(…)
La resina che hai fatto arrivare da Bergamo per il grande giorno, tiene bene. Hai già frantumato i record intermedi, l’ultimo, quello dei 20 chilometri, l’hai percorso in 23’30”. Ben 36 secondi in meno del precedente primato.
Ovviamente non ti fermi, vai per l’ora, è chiaro a tutti. Lo speaker messicano è impazzito: “Moser va por la hora!”. Lo grida come fosse l’annuncio di una festa nazionale.
Adesso sei felice, lo puoi sentire dalla pelle d’oca che ti si forma sui muscoli, sotto il body aderente. La traccia dell’emozione. Era solo questo che volevi.
Più giri in pista, più ribalti la tabella – quella maledetta – che avete stabilito alla vigilia. Quella diceva che dovevi fare 103 pedalate al minuto, e impiegare 24 secondi a giro, ma tu aumenti le pedalate e diminuisci i secondi. Regalare, regalare, regalare.
Voce del verbo Moser.
Ma la cosa bella è che pare che tu non stia facendo proprio fatica, anzi, a guardati sembri uno spettacolo di felicità. Come Bruce Springsteen durante i bis finali in uno dei suoi concerti.
Altro che sforzo sovraumano, altro che fatica immensa da cui non ci si riprende. Per te è una gioia.
Tua moglie Carla non sta più nella pelle, vorrebbe e venire a prenderti. Francesca, come previsto, zampetta già a bordo pista, Enzo Bearzot si è acceso la pipa. È il segnale, Merckx è alle corde. Ultimo giro, e poi sarà festa.
Quando ti fermi hai compiuto la bellezza di 50,808 chilometri in un’ora. È record.
(il 23 gennaio, 4 giorni dopo, Francesco Moser batterà il suo stesso record, stabilendo il record di 51,151, chilometri, da cui anche il nome del suo celebre spumante)
IL FILM:
“Moser. Scacco al tempo” al 66°Trento Film Festival: un film di Nello Correale, prodotto da FilmWork e Tipota Movie Company, in collaborazione con Trentino Film Commission e documenti esclusivi forniti da Enervit.
IL MIO LIBRO:
“Il carattere del ciclista” (Utet 2016, Xander 2017, Piper Verlag 2018)
IL CINEMINO:
Infine, menzione speciale al Cinemino (dove “Moser. Scacco al tempo” è stato proiettato): bellissimo cinema d’essai nel cuore di Milano, inaugurato lo scorso gennaio da un gruppo di soci meravigliosamente pazzi. Si meritano tutto il mio sostegno, da appassionato di cinema oltre che di sport, quale sono.
Foto: Enervit e Giacomo Pellizzari