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Paura.
Coraggio, manca poco.
Tre settimane, giorno più giorno meno, e ci siamo. Il libro sarà fuori.
Sono tante le cose che avrei da dirvi ancora su “Ma chi te lo fa fare?”. Così tante che penso di non riuscire a dirvi nemmeno le più importanti.
Scrivere un libro non è una cosa semplice: in tanti mi hanno sempre detto che scrivevo bene, soprattutto di bicicletta. Già, ma un libro non è un blog. La scrittura su carta non è quella su vetro. Un capitolo non è un post scritto di fretta seguendo l’istinto.
Ebbene per capire che non era sufficiente “saper scrivere bene sul blog”, ho dovuto cimentarmi con quasi trecento pagine (eh sì, tanto alla fine è venuto lungo!). Scriverle e riscriverle. Leggerle e rileggerle. E quindi ri-riscriverle una terza e magari una quarta volta.
La domanda, alla fine, era sempre la stessa: ma, di queste mie “pseudo-imprese” ciclistiche, dei miei amici, delle mie granfondo… fregherà mai a qualcuno qualcosa? Qui non siamo sul mio blog, qui saremo in libreria, in piazza.
Ecco, quando mi sorgeva questa domanda, venivo preso dalla paura. Perché la risposta non la sapevo e continuo a non saperla tutt’ora.
In fondo scrivere di se stessi significa esporsi: mettersi a nudo davanti a perfetti sconosciuti. Non è detto che tu sia così interessante. Quindi, siamo da capo: e se non lo sei?
Insomma, quello che sto cercando di dirvi è che questo libro mi è costato, oltre che piacere ovviamente, anche molta incertezza e timore.
Ora che è sta per uscire (confermo: 2 aprile), mi sento più rilassato. Ormai è fuori di me: quel che è fatto è fatto. Non è più, in un certo senso, cosa mia.
E allora, visto che il tema della “Paura” ricorre spesso anche nel libro, vi lascio con pezzo dedicato a uno dei miei timori atavici di sempre. La discesa.
Non che non le faccia, ma spesso le trovo infinitamente più dure delle salite.
Come quella volta, sempre in Francia, in cima al Col du Glandon. Pronto a gettarmi con il paracadute per 25 km di tornanti senza protezioni, boschi pieni di streghe e dirupi ripidissimi.
(…) In realtà, però, la vera persona che ha paura di questa discesa, mi accorgo, sono io. Sono settimane che ci penso, arrivando pesino a non dormirci la notte. Sono a dir poco atterrito.
La strada che scende dal Col du Glandon presenta una carreggiata stretta, con asfalto imperfetto e tornanti ciechi. Ma, soprattutto, è una strada senza protezioni: no guard rail. Se esci di strada, non sai dove vai a finire. E siamo a duemila metri di quota, circondati da burroni che paiono pronti ad avvolgerti come spire di serpenti.
Io, che le discese le odio già quando sono “normali”, vado giù col terrore dipinto negli occhi. Al terzo tornante, per giunta, chi mi precede ha un attimo di esitazione: blam! Ruota posteriore che scivola su del terriccio depositatosi sull’asfalto per le piogge dei giorni prima, perdita di controllo della bici e volo a pelle di leopardo. Per fortuna, contro la parete più soffice ed erbosa della montagna. Gli passo a fianco tenendo la traiettoria, mentre lui vola, ma capisco che basta un attimo a rovinare una giornata.
Già, dicevo che io le odio le discese già quando sono normali.
Mi fanno una paura fottuta. Da sempre. Sarà che soffro un po’ di vertigini, sarà che l’alta velocità mi ha sempre messo a disagio, mi spaventa moltissimo: in auto non supero mai i centotrenta e, se qualcuno lo fa, chiedo subito di scendere. Quando c’è da buttarsi “a tutta”, sento sempre un brivido corrermi lungo la schiena. Un brivido che inizia a monte e finisce a valle.
Penso ci sia qualcosa di ancestrale in tutto ciò: come detto, in fondo, ognuno in bici ha i suoi punti deboli, il suo tallone d’Achille, la sua kryptonite. I miei compagni sanno che il mio è la discesa se ne approfittano: se do loro cinque minuti in salita, stai certo che me li restituiranno con gli interessi. (…)
(…) è ovvio che per provare il piacere della salita devo per forza accettare anche il conseguente terrore della discesa. Un pacchetto completo. E questa del Glandon è una discesa davvero poco divertente. L’ho vista, prima di partire, in decine di filmati su youtube. L’ho fatto in maniera compulsiva, dal pc dell’ufficio, estraniandomi completamente dal lavoro e dalle mie mansioni. Ho letto i commenti su forum e blog, ascoltato racconti, elucubrato a sufficienza nella mia mente impaurita. Non c’è niente di peggio che non sapere esattamente come sarà una cosa e cercare di immaginarla. I video, i racconti non riescono mai a fugare i dubbi. Anzi, li deformano. Così, quella discesa che ho lì davanti adesso mi sembra un pericolo insormontabile. Eppure la devo affrontare, non ho alternative.
E, ancora una volta, mi domando: ma chi me lo fa fare?(to be continued)
(foto: Gruber Images)