Chiedimi se sono Felice

Felice_Gimondi_1966

Da Sedrina con amore.
Forse non lo sapete, ma oggi è il compleanno di Felice Gimondi, uno dei protagonisti più belli e di cui ho più amato scrivere nei miei ultimi due libri: “Il carattere del ciclista” e “Storia e geografia del Giro d’Italia”. Oltre a essere un ciclista straordinario e completo, come pochi ne abbiamo mai avuti in casa, ha anche avuto la fortuna di pedalare con indosso un nome bellissimo, quello che gli diedero a Sedrina, piccolo paese della bergamasca tra valli e fiumi, i suoi genitori. Felice. Che nome più bello esiste al mondo per un ciclista? Chiunque vada in bici, lo sa: in bici c’è la felicità. Difendiamola e godiamocela.
Caro Felice, i miei auguri migliori. #FeliceGimondi
Di seguito un piccolo presente: la tua vittoria – per me forse la più bella  –  non indovinerai mai. Non è il Tour del ’65, non è il Giro d’Italia del ’76.
È il Mondiale del ’73, a Montjuïc, in Spagna, là alle spalle della bellissima Barcellona. E lì c’era anche un certo Eddy Merckx, il rivale di una vita, il campione dei campioni, il “Maradona del ciclismo”, quello che hai sempre detto “Non ci fosse stato lui, avrei vinto un po’ di più io”.
Insomma, vuoi mettere la soddisfazione?

Se lo rifacciamo 100 volte, 90 le vince Eddy.
Siete all’ultima salita, il Montjuïc, o “Monte degli Ebrei” è alto solo 177 metri, ma da lì puoi vedere tutta Barcellona, fino al mare. Nell’ultimo scollinamento ecco la sorpresa, Merckx sembra avere un leggero cedimento. È meno lucido, forse ha speso troppo, e calcolato poco. E non sempre si può vincere di puro istinto e irruenza. A volte servono anche astuzia, ragionamento e strategia. Da quel punto di vista non ti batte nessuno. Fin da ragazzino avevi imparato a capire quando era il momento giusto per uscire dal gruppo, sapevi fiutarlo quell’attimo bellissimo, quando gli altri erano al gancio e non ne avevano più. Lo capivi da un gesto, da uno scambio di occhiate, da una pedalata improvvisamente fattasi più scomposta. E lì partivi tu, agile come un felino.

Un’arte che hai affinato negli anni.
Eddy no, lui doveva vincere sempre tutto e subito, correva con quel solo pensiero in testa, non poteva perdere tempo ad annusare l’aria. Quale fiuto? Quale astuzia? Degli altri non gliene fregava niente. Era il più forte e basta.
Ma per te è diverso, tu devi essere scaltro, stavolta hai capito che puoi farti Odisseo e accecare Polifemo. Così quando Eddy a un certo punto si sposta per farti passare, tu non cadi nel tranello. Sai che è soltanto una finta. Lo sta facendo per riprenderti in contropiede e lasciarti sul posto definitivamente. E allora ti fermi, la volata non gliela tiri. Dai un colpo alle leve dei freni, rallenti, non passi: “Vai avanti tu, che sei il Cannibale”, sembri dirgli tra i denti che sanguinano per lo sforzo. Ma Merckx non ce la fa, ha speso troppo, rimane incredibilmente indietro. È clamorosamente fuori dai giochi.
È il momento decisivo, si decide se la iella deve essere sempre tutta da una parte o ogni tanto può anche spostarsi. Fatto fuori il Cannibale, adesso hai la pedivella di Maertens appaiata alla tua, basta un nonnulla che vi tocchiate e finiate al tappeto entrambi. Freddy è partito prima, troppo presto, e allora tu lo passi, scegli il momento giusto, come sempre. Ma quello, quasi impazzito, si smette a sgomitare, non vuole farsi superare da te. Ti vuole buttare giù, è disposto a tutto perché ha capito che con le sue gambe in questo sprint non ce la farebbe. Mancano solo quindici, dieci, cinque metri. È una pugna senza esclusione di colpi.  Allora allarghi il gomito anche tu, la tua schiena con il dorsale numero 81 ondeggia paurosamente come una nave in altro mare, ma alla fine vinci. Tagli il traguardo per primo. Sei campione del mondo. Anche la iella, qualche volta, piange.
Superata la linea d’arrivo, come per incanto, una folla entusiasta, quasi liberata dal peso del Cannibale sconfitto, ti viene incontro. Braccia possenti ti sollevano di peso quando meno te l’aspetti, ti portano in trionfo come un messia. Merckx ha perso e ancora non sa spiegarsi il perché. Schiuma di rabbia. Era lui il più forte, era lui che doveva vincere, come sempre. Come diavolo ha fatto a farsi fregare? La furbizia, questa sottile e affilatissima arma, non l’aveva considerata.
 “Se rifacciamo cento di quegli sprint, Eddy ne vince almeno novanta”, non smetterai mai di ripetere, sorridendo sornione sotto i baffi. E più lo dici, più ci provi gusto. Anche oggi. Perché sai che quel successo da iellato a vita, ottenuto contro il più forte di tutti i tempi, non te lo leverà mai nessuno. Resterà bellissimo e irripetibile.

(Da “Lo iellato: Felice Gimondi” – Il carattere del ciclista, Utet 2016)