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6 letture pericolose.
Running To Stand Still.
Già aperto l’ombrellone, agguantato la tavola da surf, preso maschera e boccaglio?
Dove andate di bello? Come dite, al mare? No, in montagna?
Bravi, bravi.
Allora stringo la mano a tutti, dò una pacca sulle spalle a qualcuno, qualcun altro lo abbraccio proprio (Gianni Mura e Aldo Grasso su tutti che hanno scritto parole dolci sul mio “Storia e geografia del Giro d’Italia”).
Prima di lasciarvi alle vacanze però, ho una piccola lista da sottoporvi.
Trattasi della mia personalissima playlist di letture estive. Ovvero i libri – pericolosissimi – che porterò con me in queste settimane di svago (sì, anche i ciclisti pericolosi ogni tanto vanno a fare abluzioni in quel curioso liquido salato e carico di iodio che tanto corrobora l’anima e il corpo).
Premessa: non sono tutti libri sul ciclismo (3 sì e 3 no, par condicio), quindi anche chi non è un appassionato potrà trarne, se vuole, ispirazione. Sono libri però accomunati da una cosa: i temi che propongono (viaggio, riflessione, introspezione) sono tutti idealmente abbracciati da quel fantastico oggetto che è la bicicletta.
Quando pedali, in fondo, viaggi, quando fai girare la catena, rifletti, quando ansimi in salita, cerchi te stesso e impari a conoscerti.
Vedete, io sono un’anima in pena, non riesco a stare fermo (per questo pedalo e talvolta corro anche a piedi), ma spesso mi accorgo che in realtà queste attività sono solo i miei modi per stare fermo. Per trovare cioè un equilibrio. Il mio posto nel mondo.
I libri diventano allora piacevoli strumenti di movimento, ali, compagni di viaggio. Oltre che – ovviamente – fonti preziose di ispirazione.
Lo stesso accadrà quest’estate.
Possiamo dire dunque che nelle prossime settimane leggerò per muovermi e pedalerò per stare fermo. Sembra un paradosso, ma – vi assicuro – non è così.
Ecco, i titoli che vedete quassotto (e non è detto che riesca a leggerli tutti) saranno il mio viatico per le vacanze.
Ci vediamo a settembre. Anche prima se trovo la connessione giusta. Reale o mentale che sia.
Buone pedalate intanto, e buone letture. Che poi, in fondo, sono la stessa cosa.
Peter Cossins “Europa In Bici” (Rizzoli 2017) – 224 pg.
Come spesso accade, sono i britannici a raccontare meglio le nostre strade. Questa volta anche quelle del Belgio, della Francia, della Spagna e di mezza Europa ciclistica. Dalle Classiche Monumento, alle tappe storiche dei grandi giri. Lo divorerò per sognare di andare un giorno, chissà, a fare il Giro delle Fiandre. Potrebbe essere la prima di una lunga serie di tappe di avvicinamento. Dalle strade dissestate in pavé, dopo aver pedalato sul Baltico, alle vette alpine dell’Europa centrale, per finire, al di là dei Pirenei, sulle alture arse dal sole della Spagna centrale. Un lungo viaggio, non c’è dubbio, ma promette bene.
Claudio Gregori “Il corno di Orlando” (66th and 2nd 2017) – 532 pg.
Lui, l’autore, sa tutto. Provate con “Il figlio del tuono” la biografia più completa mai scritta su Eddy Merckx, il cannibale, e avrete la riprova. Stavolta ci racconta le imprese del primo italiano della storia a vincere il Tour de France. Ottavio Bottecchia. Detto “Botescià” dai francesi. Ne vinse due di Tour, a dire il vero: 1924 e 1925. Quando le strade non erano “strade”, ma pietraie, colabrodi, dirupi.
Ottavio ha fatto il soldato, sapeva sputare sangue e quando forava, il copertone lo toglieva con i denti. Più che un ciclista, un uomo che sapeva stare al fronte (o al mondo, che talvolta è la stessa cosa). Che fosse sul Piave o sui Pirenei, in Provenza o sulle Alpi. Vi dico solo che sono già a metà.
Portami con te, Ottavio, dall’Aspin al Peyresourde, fin sulle rampe del Galibier. Let’s go.
Robert Dineen “Guida infografia al ciclismo” (Il Castello 2017) – 192 pg.
Il libro che piacerebbe a Peter Sagan. Entro in Feltrinelli e comincio a sfogliarlo, ad annusarne il profumo delle pagine, i commessi mi guardano. Le illustrazioni sono belle e originali, i temi trattati vari e non superficiali. Il ciclismo riscopre forse la sua dimensione ludica e infantile? Fatta dei colori dell’arcobaleno e dei giochi dei bambini. E allora è tutto un pullulare di baffoni, caricature di Coppi e Wiggins, persino il Tourmalet o lo Stelvio diventano buffe icone. Ci voleva un’infografica allegra, come una ventata di aria fresca. Basta ragnatele. Lo sfoglierò meglio sotto l’ombrellone e poi lo passerò a mio figlio lì di fianco, mentre gioca con le biglie di Boasson Hagen e Rigoberto Uran. Viva il futuro, abbasso la nostalgia.
Matteo Righetto “L’anima della frontiera” (Mondadori 2017) – 192 pg.
Primo tra i libri “non ciclistici” della lista. E adesso vi spiego perché.
Di lui ho sentito dire grandi cose, che mischia Cormac McCarthy (uno dei miei scrittori in assoluto preferiti) a Sergio Leone, alla grande tradizione epica e rurale americana, un po’ beat e un po’ on the road. Un cocktail micidiale di suggestioni che potrebbe anche generare grandi emozioni, vi saprò dire. Fatto sta che si presenta col piglio del miglior vagabondaggio kerouciano, a partire dalla bellissima copertina. Insomma, qualcosa di cui qualunque ciclista vagabondo e amante dei luoghi non può fare a meno.
In fondo Peter Fonda, in Easy Rider, andava in moto ma, senza saperlo, era in sella a una Hobo Cinelli.
Il bello è che il buon Matteo Righetto ambienta tutto mica in Arizona o in Texas. No, sull’altopiano di Asiago. Una storia di “Frontiera” in salsa veneta. Che parola magnifica “frontiera”. L’ho comprato solo per questo.
Karl Ove Knausgård “La pioggia deve cadere” (Feltrinelli 2017) – 762 pg.
Quinto di Sei volumi che compongono la monumentale opera “La mia battaglia”. Ho letto gli altri quattro, non potevo fermarmi adesso. E mentre leggevo gli altri non sono riuscito a smettere di pensare che se Karl Ove avesse solo bevuto e fumato un po’ di meno, sarebbe stato un formidabile ciclista. Per inciso, credo che questo barbuto norvegese quasi mio coetaneo non sia mai andato in bicicletta, tanto meno da corsa. Eppure, senza saperlo, è un po’ come se lo avesse sempre fatto. Un libro, come gli altri cinque, che è anche un grande viaggio dentro se stessi. Una lunga meditazione a tu per tu, di quelle che si fanno volentieri in salita. Lo leggerò prima di affrontare i dislivelli più severi che mi proporranno i miei allenamenti.
Paolo Cognetti “Le otto montagne” (Einaudi 2016) – 381 pg.
Lui ha vinto il Premio Strega 2017. E ha fatto una scelta di vita precisa: via dalla città, via dalla civiltà malata, verso le montagne. Novello McCandless, alias Alex Supertramp, molto “into the wild”. Le montagne come metafora di un approdo, di un modo di pensare e di vivere. Una sorta di rinuncia ai benefici opulenti (e spesso superflui) della vita. Ne ho sentito talmente parlare di questo libro, e di questo tema, che non posso fare a meno di leggerlo. Non c’è amico che non mi abbia detto che uno come me che adora le montagne, che va in bicicletta, che cerca la fatica e la salita, eccetera e eccetera: sì, insomma, che uno come me deve fiondarcisi a perdifiato in quelle 381 pagine. E allora lo farò, promesso. Di solito però quando le cose iniziano così, diventa faccenda non semplice mantenere le attese. La prenderò come una sfida. Anzi, caro Cognetti, sai cosa ti dico? Ti leggerò per primo.
Photo credits: ©ciclistapericoloso