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Sölden Fairy Tail – Episode 1
La scena è più o meno questa.
Dopo aver raggiunto al buio la linea di partenza, Io, Giovanni e Mario ci disponiamo in silenzio davanti alla stazione della funivia. Ci guardiamo attorno circospetti, manco dovessimo rapinarla.
Là in mezzo, da qualche parte, ci sono anche Daniele e Luca, i fratellini Shleck da Cernusco. Siamo tutti qui, davanti alle cabine che conducono al ghiacciaio posto a tremila metri sul livello del mare. La sera prima, per scacciar la tensione, sono venuto a vederla la stazione della funivia, era tutta illuminata di rosso e di blu. Pareva un’astronave atterrata da queste parti per l’occasione. In cielo la luna splendeva solitaria, tanto che le stelle erano un inutile contorno. Nemmeno un corpo nuvoloso a turbarla. Una autentica rarità in alta montagna. Un’autentica eccezione per questa gara, che si svolge ogni anno a fine agosto, quando qui è ormai praticamente autunno. E che danni per me è stregata.
Le previsioni stavolta sono però inequivocabili da giorni: sole splendente dall’inizio alla fine della gara e temperature estive. Anzi, farà proprio caldo, previsto addirittura torrido, sopra i trenta gradi, proprio quando affronteremo il temutissimo Passo Rombo a San Leonardo in Passiria. Il Rombo anche detto Timmesjoch è, come sapete, l’ascesa finale. Da questo versante (l’altro lo feci due anni fa per consolazione) è lunga 29 chilometri, per un totale di duemila metri di dislivello.
Il tutto dopo aver percorso la bellezza di 180 km e scalato 3.500 metri di dislivello. Numeri da capogiro.
Le gambe sguazzano nell’acido lattico da ore e tu ti trovi davanti, chilometro più chilometro meno, uno Stelvio. Versante da Prato. Vabbè, decido che ci penserò quando ci arriverò. Se mai ci arriverò.
L’eccitazione per queste previsioni perfette, disegnate da una divinità buona e generosa, azzerano ogni mio timore.
Sono carico a molla. Le paure, le ansie, le incertezze che ho di solito, svanite nel nulla. Vecchi compagni di viaggio che hanno deciso di lasciarmi andare. Da qui in avanti tocca solo a me.
Anzi, sono persino preda di una strana eccitazione febbrile. È una settimana buona che faccio fatica ad addormentarmi, a concentrarmi sulle cose che devo fare, persino a guardare la televisione.
Come un bimbo gli ultimi giorni di scuola.
Eccomi allora pronto a scaldare i motori. Sono già emozionato: quanto ho aspettato e sognato questo momento? Quante volte ho dovuto rinunciarvi? Quanto ho scritto di questi attimi? Se avete letto “Ma chi te lo fa fare?”, il mio libro – e dò per scontato che, se siete arrivati sin qui, lo abbiate fatto – saprete benissimo di cosa sto parlando.
Sono talmente in trance e concentrato che quando mi accorgo che il Garmin non si sta agganciando al satellite e ormai hanno già dato il via là davanti, entro in panico. E adesso? Come cavolo faccio? Oddio, santo cielo! Senza bussola, non parto.
Per fortuna, magicamente, mentre spunta il sole, anche il mio ciclocomputer decide che è ora di partire. Satellite agganciato. Come Yuri Gagarin sulla luna. Solo per un attimo le vecchie paure erano riaffiorate. Ma non è la loro giornata. Coraggio, è tempo di rock n’ roll.
Le safety car, dei cattivissimi SUV BMW brandizzati Red Bull, aprono la parata. Subito dietro, si accendono i motori e ci si getta nella pugna a tutto gas. La particolarità di questa gara sta anche nella sua partenza. A bomba. Si scende per 32 chilometri di falsopiano in discesa dove i pedali vanno avanti come spatole nel burro e la velocità è costantemente altissima. Arrivo così a Oetz, nel fondovalle, che nemmeno me ne sono accorto e sul garmin posso leggere velocità che preferisco non vedere.
Lungo questo tratto, diverse volte mi è capitato di avere la pelle d’oca. Non certo per il freddo, indosso prudentemente la mia mantellina Rapha, ma per le emozioni. I capannelli di persone ad applaudirti, il rumore scrosciante del fiume impetuoso, la bellezza della valle dell’Oetz, prima selvaggia e poi ricca di prati verde pastello, l’arancio dei primi raggi di sole sulle rocce qui di fronte. Mi sento in un sogno, ma so che presto mi dovrò risvegliare. Attacca il Kühtai, il primo cattivissimo passo. Quasi venti chilometri, in cui si tocca la punta massima di pendenza di tutta la gara, il 18%.
Via la mantella, giù i manicotti, comincia la rumba.
(photo credits: Sportgraph)