L’incontenibile: Indro Montanelli.

Schermata 2016-05-16 alle 14.39.19

Che carattere.
Oggi parliamo di un altro carattere, che non è nel libro ma che merita di essere analizzato.
Il Giro d’Italia non sono solo i ciclisti che lo corrono. Sono anche i giornalisti che lo raccontano.
Già perché il Giro è una ricorrenza che porta in luce la voglia di raccontare. Come se fosse una grande storia che ne fa nascere a cascata centinaia d’altre. Bisogna esser pronti a raccoglierle. E così come per fare i ciclisti ci vuole il phisique du role, lo stesso vale per farne i cantori.
Montanelli fu uno di questi.
Per accorgermene bene fino in fondo, ho dovuto leggermi un intero volume.
Anzi, se devo essere sincero, prima di leggerlo non sapevo nemmeno – gravissima pecca  mia – che Indro Montanelli avesse scritto di ciclismo. E di Giro d’Italia.
Invece no, non solo ne ha scritto. Ma lo ha fatto in maniera vorace, di più. Incontenibile.

Indro Montanelli e il Giro del ’47
Durante il Giro d’Italia del 1947, Indro più o meno faceva così.
Si metteva lì, a bordo strada con la sua macchina da scrivere e pestava sui tasti con la sigaretta in bocca.
Era come posseduto da un demone, senza nemmeno il tempo di togliersi il soprabito si metteva a registrare tutto nero su bianco.
Avete presente il suo monumento, tutto dorato, ai giardini a lui dedicati di Porta Venezia a Milano? Ecco, io me lo immagino così: accovacciato con la macchina da scrivere sulle ginocchia e l’impermeabile ancora indosso.
Nel 1947 Indro fu mandato come inviato del Corriere della Sera al Giro d’Italia. La promessa era di parlare di ciclismo e nient’altro che di ciclismo. Niente fascismo, niente politica, niente polemiche. Okay, Indro?
Okay per niente.
Montanelli era un personaggio caldo e scomodo già allora. Si trovava “in purgatorio”, dicevano, a causa del suo passato. Sebbene avesse rotto con il fascismo, fosse stato imprigionato e condannato a morte e salvatosi solo fuggendo in Svizzera.
Ora voi capite perché gli ordini del Corriere erano così chiari e perentori. Parla solo di Coppi e Bartali. Nient’altro.
Indro l’incontenibile finì per parlare d’altro.
E oggi quest’altro è raccolto, per fortuna, in un bellissimo volume per Rizzoli, in libreria dal giorno della vigilia del Giro.

Fascismo, Africa e Ciclismo.
Montanelli scrisse dei suoi ricordi, della sua infanzia, dell’esperienza in Africa, del fascismo e dell’opposizione al fascismo, di tutto. Forse quasi tranne che di ciclismo.
Scherzo, di ciclismo c’è e molto invece. Solo che è raccontato come se fosse una storia di guerra. Che il pedalare è sempre un combattimento leale.
Mi piace pensare che anche Montanelli avesse capito che il Giro – e il ciclismo – sono solo una bellissima scusa.
Quella giusta per dar fondo alla propria incontenibile voglia di parlare, di raccontare quello che il Giro ti tira fuori. Che può essere davvero tanto. Bisogna avere carattere per saperlo affrontare.
È come se queste tre strane, magiche, settimane diventassero una sorta di confine: di qua c’è il ciclismo, i corridori, la maglia rosa. Di là tutto il resto di cui parlare.
Se non ci fossero, queste tre settimane dovremmo inventarle.

Il libro: “Indro al Giro – viaggio nell’Italia di Coppi e Bartali, Cronache del 1947 e 1948” (Rizzoli)  a cura di Andrea Schianchi.