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Il Guascone: Peter Sagan.
Tu non hai mai bisogno di separare la vita privata da quella professionale. In te coincidono, sono magicamente e spontaneamente la stessa cosa. Quando pedali sei lo stesso che prepara pancake in cucina filmandosi con l’iPhone; quando scatti e ti lasci tutti alle spalle sei lo stesso che prende una birra al bar con gli amici. Sei sempre tu, Peter – detto “Peto” – Sagan. Nessuna finzione, nessuna forzatura, nessun ruolo da giocare. Così quando durante la sedicesima tappa del Tour de France del 2015 ti lanci all’improvviso in una discesa spericolata giù dal Col de Manse, mentre i cronisti avvertono il pubblico dicendo “don’t try this at home”, tu stai facendo esattamente quello che ti va di fare. Senza pensarci su, ti sei buttato, e ti sei lasciato andare, esattamente come avresti fatto se fossi stato in allenamento o in gita con gli amici. Giochi. Le tue pieghe sono da brivido, rasentano l’erba e la caduta nel vuoto. Qualcuno dice persino che sei un cattivo esempio per i giovani che si avvicinano al ciclismo. Eppure, se ti inquadrassero in faccia mentre scendi a 90 all’ora, c’è da scommetterci ti si vedrebbe la bocca sorridere da un orecchio all’altro. Non te la sei mai spassata tanto.
Quanto te la invidiano i tuoi colleghi quella tua naturalezza, questo tocco infantile e leggero, quasi inconsapevole, che riesci a dare a ogni cosa. Già, perché a loro, invece, tutto sembra terribilmente più pesante e faticoso.
(da “Il carattere del ciclista” – Utet aprile 2016)
Riportare il gioco dove lo avevano tolto.
Beh, che altro dire? Fresco di vittoria alla Gand-Wevelgem, a qualche giorno dal Giro delle Fiandre, signore e signori ecco a voi l’uomo che ha riportato il gioco laddove lo avevano tolto. Peter Sagan. 26 anni, da Zilina.
Già, “soltanto” 26 anni, ma nel curriculum già tutto quello che si può fare per diventare un personaggio sopra le righe. E dunque, entrare di diritto nel mio nuovo libro “Il carattere del ciclista”.
Peter Sagan è un idolo per teenagers e non solo. Vale anche, e forse soprattutto, per noi adulti. Che a volte siam fin troppo seri.
Basta aprire il suo profilo instagram, o qualunque altro dei suoi social, per capire che non si sta semplicemente avendo a che fare con un ciclista. Nient’affatto.
Si ha a che fare con un ragazzo di 26 anni. Semplice, solare, estroverso, voglioso di trasgredire e divertire come tutti i ragazzi di 26 anni. Niente musi lunghi alla Coppi e Bartali allora. Niente anoressia alla Chris Froome. Niente, o almeno non troppo, sacrificio o sofferenza. Pedalare è gioia. Per lui andare in bicicletta è insomma prima di tutto un gioco. Peter Sagan non pedala, danza, ride, se la spassa. E quando si accorge che il gioco si fa troppo serio, allora sì, gli si allunga il muso e si fa più cupo in viso. Ma è solo per un attimo. Quello tra un’impennata e l’altra.
Di solito accade quando i giornalisti lo inchiodano alle sue responsabilità, e ai suoi eterni secondi posti. Una volta l’ho fatto anche io e lui si è incazzato un po’. Ma sorvoliamo.
Tante volte secondo come Peter Sagan non c’è mai arrivano nessuno. Da qualche tempo però, lo slovacco ha comunicato anche ad arrivare primo. La maglia bianca con l’iride che indossa, del resto, ce lo ricorda ad ogni gara. Ma anche lì, a Richmond sei mesi fa, a pesarci bene non ha smesso di fare il ragazzino. Per fortuna.
Arrivato al traguardo del Campionato Mondiale maschile su strada per primo, ha lanciato caschetto e guantini al pubblico come un rocker. Poi ha concluso il suo irriverente show personale, dando un cinque a tutti gli avversari che arrivavano dopo di lui. Tom Boonen in testa, felice per altro come un bimbo, contagiato anche lui da Peter Pan-John Travolta. Che meraviglia. Uno spot per il ciclismo.
Perché Peter è quello che tutti stavamo, da troppo tempo, aspettando. Colui che doveva riportare il gioco laddove lo avevano tolto.
E, in fondo, noi saliamo in bicicletta da bambini, innanzitutto, per giocare.
Lui non fa altro che ricordarcelo.
Per saperne di più sul nuovo libro “Il carattere del ciclista” (Utet, aprile 2016), vi rimando qui.
Se vi interessa invece leggere quello vecchio, “Ma chi te lo fa fare?” (Fabbri 2014), potete trovarlo ancora qui.