Le Giovani Marmotte – Prima tappa: Col du Glandon.

Spesso, i grandi scalatori, hanno più paura della discesa.

7:20. Una lama di sole taglia Bourg d’Oisans, ai piedi dell’Alpe d’Huez. Piccolo borgo dell’Isère, nella regione del Rodano – Alpi.
Fa freschino. Un po’ come a Corvara a quest’ora. 6 giorni fa.
Già, in sei giorni ho deciso di regalarmi un tuffo al cuore: prima il Giau, ora il Galibier. Prima la Maratona, ora la Marmotte. Prima 4200 metri di dislivello, ora 5000. Prima 138 km, ora 180.
Sono deficiente. È conclamato.
Ho passato una settimana con la coscia destra reduce da crampi lancinanti e indolenzita, a farmi autistici massaggi ogni santa sera. Sotto gli occhi ormai rassegnati della moglie. Le giornate trascorse in modalità scimpanzé: 3 banane al giorno come minimo. Una sola parola d’ordine: Potassio. No crampi. Expecially sul Galibier, grazie.
Ho passato una settimana a domandarmi (e a sentirmi rispondere sistematicamente di no) se era sensato pensare di “recuperare” in tempo per sabato 7 luglio dagli acciacchi post- maratona.
Ma io avevo un sogno. Anzi un “Reve”. Volevo essere a Bourg d’Oisans sabato 7 luglio 2012, cascasse il 50.
E così alle 7 di sabato 7 io sono lì. Hai voluto “l’obiettivo di tutti gli obiettivi”. la madre di tutte le battaglie?
Ecco. Mo’ pedala.
E io pedalo.
7 di sabato 7, dicevamo.
CNB in griglia, quasi al completo: Pitone del Gratosoglio assente giustificato.
Gli Shleck carichi come molle. Dopo la Sportful chi li ferma più a loro?
Alle 7:32 la marmaglia di caschi colorati comincia a muoversi. Quel lento, e poi rapidissimo, “la” che ogni granfondista conosce arriva puntuale: scorgi con la coda dell’occhio, centinaia di metri davanti a te, il primo muoversi del treno. Ci siamo. Non si torna indietro.
I primi 10 km si fanno con il sole che esce dalla valle e illumina di colori la Romanche, il fiume che ci scorre a fianco con il suo discreto fragore.C’è sempre un fiume a fianco di una Granfondo. Non è vero?
C’è un che di fatato in questa partenza. Silenziosa, rispettosa, o, forse, più semplicemente, timorosa di quello che deve venire.
Già. Ad Allemond, nei pressi del Lac du Verney, dopo 10 km secchi dallo start, il silenzio si rompe. Sale in cattedra il Col du Glandon.
A Barrage du Verney, dopo un assaggio dolce, le catene crollano inesorabilmente sul 34. E vorrei sapere qui chi è quel maledetto che mi ha detto che “Il Glandon invita a menare”.
Invita a menare??
Il Garmin parla chiaro e lo fa più volte: 10-12%, dopo un primo rifiatare in leggera discesa, addirittura, in prossimità del km 13, mi dà 14%.
E questo voi lo chiamate “menare”?
Il Glandone è la salita che non t’aspetti in questa Marmotte. Per difficile interpretazione: è molto irregolare. A gradoni che non t’aspetti. E soprattuto per meraviglia del paesaggio. Quieto, silenzioso, selvaggio. Prima chiuso in una valle di pini e poi aperto su un lago artificiale, con vette dal cuore di ghiaccio che incombon come orchi sul piccolo plotone di lilliput-formiche che sale, 34 in canna. L’Eau d’Olle si chiama questo bacino d’acqua trattenuta dal robusto avambraccio di un diga. E io penso alla cara, vecchia, Valvestino. Lontana centinaia di km da questa terra a me lunare. Ma meravigliosa.
La mia ascesa procede con i ritmi della scoperta: ogni tornante, una nuova bellezza. Mucche e pecore libere al pascolo ci fan passare correndo. Hai mai visto una mucca correre? In Francia le mucche corrono.
Dopo 26 km di ascesa, e dopo esser partito a 400 m. sul livello del mare, mi trovo, come per incanto a 1924 metri di sogni e nuvole.
Brutale arriva uno stop: il primo “ristoro” (si fa per dire: 3 banane e una fontanella d’acqua, 7 mila anime)  posto in vetta a uno scollinamento scoscieso e largo non più di qualche metro, costringe il Peloton a mettere i piedi a terra.
A fatica Frank-Luca e Danile-Andy agguantano banane, acqua e addirittura un Bondì Motta, per tutti. Un gendarme mi guarda storto, per aver osato poggiare la mia Cinelli alla sua moto. La tolgo immediatamente, come fa un bambino davanti alla maestra. Trangugiando il Bondì come fosse un cinghiale di 3 kg.
Mantellina e giù. Discesa tosta. Pericolosa. Carreggiata stretta, asfalto imperfetto, no guard-rail, tornanti ciechi. Insomma: una favola.
Vado giù col terrore dipinto negli occhi.
Al terzo tornante chi mi precede ha un attimo di esitazione: blam! posteriore che va via sul brecciolino, e volo a pelle di leopardo contro la parete erbosa.
Gli passo tenendo la traiettoria, mente lui vola, ma capisco che basta un attimo e tutto si può rovinare.
I restanti 20 km di discesa li faccio attaccato al manubrio come a un orsacchiotto. Sempre in presa bassa, la mia bella non la voglio mollare.
La discesa si fa più dolce ma non meno insidiosa nell’ombra di un bosco che non lascia scorgere l’asfalto.
A valle ne ho già 58 di km. Andati giù come un Campari Soda.
Da Saint Marie de Cuines a Saint Michel de Maurienne ne fanno altri 25. Gli unici, di pianura. Ventro contro. Ca va sans dire.
Galibier, a noi due.
CONTINUA