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Tutta un’alta vita.
Quella che ho davanti, intendo. Voglio dire: 8 mila metri di dislivello in due settimane. Non sono esattamente una gita in motangna.
Quelle che mi aspettano, quest’anno, dal 26 giugno al 10 luglio, siore e siori, saranno le due settimane più “alte” della mia vita di aspirante scalatore jedy. Avrò bisogno, seriamente, del vostro supporto psico-fisico.
Ma veniamo al dunque. Di cosa stiamo parlando?
Semplice.
26 giugno: Aprica, Granfondo Giorndana, ex Marco Pantani. Leggasi, a scelta: 155 km e 3.600 m. di dislivello, oppure 175 km e 4.500 m. di dislivello. Leggasi, tra le righe: Gavia (da Ponte) e Mortirolo (da Mazzo), in sequenza, ed eventuale gran finale su Santa Cristina. Tremor di polpacci.
10 luglio: Corvara in Badia, Maratona dles Dolomites. Per il venticinquesimo della mia bella non potevo mancare. Numeri, li conoscete: 140 km, 4.200 m. di dislivello. 7 passi dolomitici in serie, Giau incluso. Paura e delirio fin nel metacarpo del piede sinistro.
Allenamento: Novecolli, 22 maggio, Cesenatico. Samba. Qui si va per divertirsi, o quasi.
La preparazione latita, ma conto di raddrizzarla a breve. Complici anche i nuovi acquisiti: la nuova belva alata di cui avete già ampiamente letto e saputo. E, la novità in arrivo a giorni: ogni destriero ha bisogno di zoccoli da gara che sappiano creare il panico e mozzare il dislivello. Annuntio dunque vobis gaudium magnum: habemus Fulcrum Racing Zero 2 wai fit. Dietro ai quei raggi piatti rosso vermiglio diavolo ci sono autenticamente morto. Steso, stecchito. Tanto che, alla proposta del commerciante di fiducia di fare quantomento il confronto oculato con delle magnigiche DT Swiss, non ho nemmeno preso in considerazione l’ipotesi. La solo prova montaggio sul telaio è bastata. Il diavolo in corpo, versione tubeless, ha vinto. 10 a zero.
Niente camera d’aria dunque, d’ora in avanti. Tubeless e via andare. Incollato al bitume come sul velluto, pronto a scorrere come una palla da biliardo, o una da cannone, ben oliata.
Alla famiglia preoccupata per il precario bilancio, rispondo di avere un velo di pietà e capir bene la situazione: come affrontare cotanta ondulazione senza qualche giocattolino da portarsi dietro?
Ecco.
Ma ora veniamo ad altre considerazioni: Gavia e Mortirolo.
Simpatiche canaglie da mandar giù in un sol boccone, una mattina di fine giugno. Due mostri sacri che si sognano tutta una vita.
Due streghe dell’est che popolano di sogni la mente di ogni grimpeur. Fatta, l’una, di lunghi chilometri, ben 17,2, di una lunga galleria curva e non illuminata, la bocca di un drago e oltre 2.600 m. di vetta primordiale. L’altra di pendenze over 10% tornanti da rampa di garage oltre che un po’, ma tanto, di Marco Pantani. Orgasmo.
Sapete, io queste due salite credo che le farò senza rendermene bene conto. Ne sono abbastanza certo. Gavia e Mortirolo, parlo per me, sono qualcosa che non si riesce bene a immaginare prima e che poi, credo, durante l’ascesa, si affrontano con timore reverenziale e rispetto. Troppo per poterle contemplare a piacimento. Non so cosa aspettarmi. Forse mi affascina di più la prima: per la sua lunghezza per le sue affinità di cima coppi con il passo dello Stelvio, che ancora non ho affrontato. E poi per quella galleria, dicevo: fauci incantate ove perdersi nel nulla. Fantasmagoria della balena, da affrontare sopra un’altra balena: Moby Dick, neo-destriero di casa pericoloso. Nero su nero. Che voglia, non potete capire. Non penso ad altro.
Il Giau, il Sella, il Falzarego ormai li ho fatti: in un certo senso là mi sento di casa. Ma il Gavia, amiche e mici miei. Eh, il Gavia è tutta da scoprire. Una novità alta 2.651 metri. Mai salito così tanto. Mai arrivato così in alto.
Ogni colpo di pedale in cantina sul rullo, contiene una stilla di questo obiettivo. A tutti gli effetti, forse, “L’obiettivo” di questa stagione. Ripeto: forse ancor di più del mitico e pericolosissimo Mortirolo.
Quest’ultimo sicuramente ancor più duro e aspro e con tanto, ma tanto, acido lattico in più nella gamba. Non so come farò a farlo. Ma le mie “streghe”, che fan rima con “sirene”, quelle di Ulisse, son tutte per il Gavia. Frega niente.
È come se mi chiamasse. La sua selvaggezza, le sue rocce primordiali, i suoi ghiacci perenni sono sinfonie per le mie orecchie.
Quell’antico e sottile confine tra paura, fascino e desiderio che prevale su tutto mi ha avuto di nuovo.
Bene, tutta un’alta vita mi aspetta. Si giocherà sopra i 2000 metri. Il mio naturale stadio di casa.
Stay tuned.
(fonte immagine: www.rapha.cc)