La paura che salva.

"Là dove c'è pericolo, cresce anche ciò che salva"

"Là dove c'è pericolo, cresce anche ciò che salva" (F. Hölderlin)

Anni Novanta. Studio Filosofia. Mi imbatto in una frase che mi avrebbe cambiato la vita: quella quissopra, sotto questo bel faccione ottocentesco. 
Caro Johann Christian Friedrich Hölderlin, nato a Lauffen am Neckar il 20 marzo 1770 e morto a Tubingen il 7 giugno 1843, tu mi hai insegnato molto. Tutto. 
In una parola: ad aver paura, come ogni essere umano che si rispetti, e a superarla. 
Occorre restare bambini, avere grosse paure e gustare la forza che dà il superarle. 
Caro Johann Christian Friedrich Hölderlin, tu mi hai insegnato ad andare in salita. Che ti piaccia o no.
Da ieri, poi, mi hai reso ancora più pericoloso.
Sta un po’ a sentire perché.  

Dunque, numeri. 
Metri di dislivello: 2.544. Nuovo record. 
Km: 111. Con ben 52 di salita (compresi i falsopiani). 
Tempo: 5:45′ (soste comprese). 
Dove: al mare, in Liguria. Ma erano le Dolomiti. 
Cosa ha imparato il ciclista pericoloso da queste ultime due uscite over 2000? 
Tanto. Veramente tanto. Yoda è contento di lui. Anzi, “di lui contento è”. 
Beh, innanzitutto, ho imparato che devi andare agile, da subito. 34X23 senza vergogna, anche quando sei al 6%. Che devi alternare ogni tanto l’andatura, alzandoti sui pedali e indurendo di un dente dietro: io lo faccio a ogni tornante, ma è giusto per darmi una regola. 
Poi che devi bere. Bere molto, soprattutto con il caldo.  Mai avere le borracce vuote o semivuote. Le ho riempite, in tutto, tutte e due, due volte. In totale, comprese quelle piene alla partenza, ho bevuto 6 borracce da 50 cl l’una. Dunque: 3 litri. Bere soprattutto acqua pura, pochi sali, anche se fa caldo: è più sano e il corpo recupera perfettamente.
Terza cosa: fermarsi almeno una volta, qualche minuto. Sganciare i pedali, mangiare, con calma, godersi il panorama, ficcare la testa, magari, sotto una fontanella. Insomma, “Time”.
E’ essenziale non avere fretta. Pensare all’obiettivo finale (i 3000 m. di dslivello, nel mi caso) e non al tempo. Altrimenti la luce si spegne. Errore, in parte commesso alla 9 Colli dove, per stare nelle 5 ore, non mi sono praticamente mai fermato, senza accorgermi che il mio corpo me lo avrebbe chiesto presto.
Così facendo ho ottenuto due uscite molto belle, intense, ma senza arrivare mai stravolto: avrei potuto fare di più. Ecco, questa è la sensazione con cui si deve tornare a casa: potrei andare avanti. Mai invece: ancora un metro e sarei morto. Lasciare, insomma, sempre una riserva. 
Dunque, credo, che queste uscite che sto facendo mi stiano cambiando la pelle. Comincio a capire e sentire nelle gambe cosa vuol dire fare davvero salita. Manca ancora un po’ di dislivello, e sono sempre sul chi va là. Oscillo cioè tra momenti di entusiasmo in cui mi sento “pronto” ad altri di sconforto in cui mi dico: “A’ pericolò, guarda che là saranno 3.090 non 2.500. So’ cazzi”. 
Penso però che tutto ciò, per il “Maratonante” (colui che si dovrà maratonare) sia normale. Mi sento, vuoi anche per il periodo, come pochi giorni prima dell’esame di Maturità. Un maturando allora, un maratonante oggi. Mi pare di ripassare Erodoto e le Storie o Cicerone e Catilina, e invece sto preparando il Falzarego. Ogni salita, una terzina di Dante. Ogni metro di dislivello in più, rispetto alla volta precedente, una pagina di Hegel e della “Fenomenologia dello Spirito” in più, assimilata (e vi assicuro, da hegeliano convinto: non è cosa da poco).
A proposito di Falzarego: stanotte l’ho sognato. Arrivavo alla fine del Sella Ronda (i primi 4 passi), ripetevo il Camplongo, e mi fermavo al ristoro. Senza accorgermi, si faceva sera e quando attaccavo il Falzarego il cielo era una stellata mozzafiato, le guglie acuminate delle montagne appena scalfite da una scintillante falce di luna. 
-13. Johann Christian Friedrich è con me. Sul comodino, vicino a Yoda.