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Il lato oscuro della compact.

Nella Val Vestino, record personale di dislivello: 2.302 m.
Egli ancora pronto non è. Avrebbe detto Yoda.
Ma ci si sta avvincinando. Aggiungo io.
Con una pedalata agile, 34X21-23, mai sperimentata prima con continuità, scollina il tetto dei 2000 m di dislivello. Suo precedente record personale. E si porta a casa un bel 2302.
La sagoma della meta più pericolosa prende forma. I suoi 3.100 m. di dislivello cominciano a diventare meno rarefatti. E, soprattutto, con questa nuova pedalata, a fare meno paura.
Numeri.
Sabato: 2.302 m. di dislivello, per 107,8 km, 44 km totali di salita, pendenza media 6,5%, massima 14%, velocità media in salita 14,9 km/h. Tempo reale impiegato, comprese cioè le soste per riempire borracce con acqua di fonte e ingurgitare mini-cotognate a gogò : 5:28’. Tempo effettivo: 5:14’.
Questi i numeri dell’uscita più intensa di sempre del vostro ciclista pericoloso preferito. Questi, però, anche i numeri, crudi e nudi, che ci vogliono per fare tanto dislivello. Ora, la Maratona dles Dolomites, come ben sapete, fa 3.100 di m. di dislivello, percorso medio, e addirittura 4.100, percorso lungo. Basta fare i calcoli per rendersi conto della immane fatica, in termini di ore in sella e sforzo prolungato, che ho davanti. E, soprattutto, per capire come il “lungo”, realisticamente, sia ahimè, chiaramente fuori dalla mia portata.
Eppure, scollinati i 2000 m., senza pagarne dazio (ieri, il giorno dopo, ero carico come una molla, per niente affaticato), ti resta nei polpacci il sapore amaro della tentazione. Se solo avessi più tempo, con a disposizione diverse giornate intere, non solo la domenica, credo che 4.100 m. di dislivello me li berrei.
Ma un record è pur sempre un record. E questi 2.302 m., fatti in solitario nelle terre del Garda, vanno festeggiati.
Eccoveli.
Dopo solo 10 km di riscaldamento lungo la Gardesana occidentale, comincio a salire. Il Navazzo, come di consueto, con i suoi 7,5 km al 5,5% di pendenza media, apre le danze. Simulazione perfetta del Campolongo. Salgo subito agile. Ad ogni tornante, indurisco di un dente, e mi alzo. Poi torno a sedermi e rialleggerisco. Nessuna stilla di energia va sprecata.
Giunto a Navazzo, imbocco la Val Vestino, un capolavoro della natura. Un’area wilderness, resa unica dall’omonimo lago: un bacino d’acqua artificiale, chiuso a valle da un’enorme diga bombata. Finito il lago con i suoi 3 ponti, superata la piccola galleria (foto) che una volta segnava il confine tra Italia e Austria-Ungheria, si torna a salire. 6 km circa al 7% di pendenza media, ed ecco i 900 m. del passo di Capovalle, già in Val Sabbia. 10 km più a Nord: il Trentino. Piccole malghe, qualche contadino che falcia il fieno e un paesaggio a tutti gli effetti incantato. Le vette del Tombea e del Denai, quest’ultima con i suoi 1950 m. s.l.m., fanno da sfondo a uno dei paesaggi, a mio personalissimo avviso, più belli d’Italia.
Guardo il Rox. Ho già nel sacco, in 40 km, 960 m. di dislivello.
Non scollino verso il lago d’Idro, come sarebbe naturale, ma torno indietro per ripetere il Navazzo e poi piegare a destra verso Liano- Mornaga, nel cuore del Parco dell’Alto Garda. Da Gargnano fanno altri 700 m. di dislivello. Li ripeto due volte.
Alla fine avrò negli occhi la luccicanza dell’apprendista grimpeur che da oggi si sente un po’ meno apprendista. E la foto secca di una giornata splendida, con i ponti, la foresta e le cime tempestose della Val Vestino. Chiudo con un tuffo nel lago di Garda, insieme a mio figlio.
La forza è con me.
Totale distanza: 107,8 km.
Dislivello: 2.302 m.
Tempo effettivo: 5:14′
Pendenza max: 14%
Salite principali: Navazzo (da Gargnano), Capovalle, Costa (da Gargnano, 2 volte).