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Il Cocciuto: Marco Pantani.
“Oggi è uno di quei giorni. Marco se ne sta seduto tutto solo, con la divisa della Mercatone Uno e le scarpette da ciclista. È sotto quell’ombrellone a due passi dal mare. Fa un caldo torrido, le scuole sono finite, a Cesenatico sono tutti in spiaggia a prendersi a gavettoni o a fare il bagno. E lui invece sta là, taciturno, con lo sguardo serio e pensieroso. Si passa e si ripassa continuamente la mano nel pizzetto, da un po’ di tempo divenuto più folto.
Ci siamo, si è messo in testa qualcosa.
E sa che su quel qualcosa c’è poco, anzi niente da scherzare. Gli altri si divertano pure. Da qualche giorno, Marco ha smesso di mangiare, quasi fosse una privazione decisa a tavolino. Si siede regolarmente da solo sotto l’ombrellone, dopo otto ore filate di allenamento e chiede soltanto una fetta d’anguria. Nient’altro. Liquidi e zuccheri, dice che è tutto quello che gli serve. Niente piadine, niente pizze, niente gelati, Sangiovese manco a parlarne. Non c’è un bel niente da festeggiare, tutto da soffrire.
Così, mentre divide metodicamente a pezzetti quel frutto colorato con una minuziosità degna di un ingegnere, pensa alla massima di Coppi “Mangia solo ciò che ti serve, che il resto te lo porti in salita”.
Esattamente la stessa che gli è stata utile soltanto poco tempo fa, quando, con un’impresa meravigliosa in salita, ha conquistato il suo primo Giro d’Italia, quello del 1998. Leggero come una piuma – cinquantaquattro chili, non un grammo di più – ma capace di pungere come un’ape, ha fatto breccia nel cuore di tutti gli Italiani a suon di scatti. Esattamente come Mohammed Alì a Kinshasa contro Foreman. Marco ha duellato con il russo Pavel Tonkov sulle rampe di Plan Montecampione finché non l’ha mandato al tappeto, e ha portato a casa la prima, meritata maglia rosa. Quella che gli era sfuggita troppe volte, martoriato dalla sfortuna e dagli infortuni com’era. Quella volta no, finalmente il destino gli aveva sorriso. Ma l’aveva sudata tutta. Per battere Tonkov, il più vicino in classifica generale, aveva dovuto alzarsi sui pedali non una, ma due, tre, dieci volte. Pavel, che tanto amava l’Italia da prenderci persino casa, aveva sempre risposto agli scatti di Marco, uno ad uno, incollandosi alla sua ruota senza mollarlo. A casa tutti avevano patito le pene dell’inferno, su quei tornanti erano saliti anche loro con Marco. Poi alla fine, Tonkov aveva ceduto. Di schianto. Mentre Marco si alzava sui pedali per l’ennesima volta guardando nel vuoto davanti a sé, Pavel era rimasto seduto, il segnale che non ne aveva più. Una gragnuola di colpi che avrebbe sfinito chiunque, a fine tappa dirà che “non sentiva più né gambe né braccia”. E c’è da credergli. Invece Marco, a vederlo in tv, in quel momento – quello della resa dell’avversario – sembrava un missile sparato contro il vento. Nulla lo avrebbe fermato. Quando arriva in cima a Montecampione, Pantani sa che il Giro è suo.
Soltanto pochi giorni dopo, a Cesenatico, dove è in programma la festa, Marco scappa dal chiosco di piadine della mamma, e va a fare il giro delle discoteche della Riviera. Si rifà vivo all’alba, davanti a un cappuccino fumante e a un cornetto caldo. Quello era il suo modo di festeggiare, la gioia pazza dopo un mese di concentrazione totale, quasi maniacale.
Si fa fatica perciò oggi a vederlo scuro in volto davanti a un’anguria. Sembra uno studente dietro la lavagna, in castigo. Non c’è nulla del Pantani casinista di qualche settimana fa in questo qui di oggi. Eppure, è impossibile distrarlo, anzi meglio proprio girargli alla larga. Tanto non darebbe confidenza.
Nessuno ha capito bene cosa diavolo abbia in testa stavolta, primi fra tutti proprio i genitori:
– Marco, cosa fai? Forse dovresti mangiare di più, hai pedalato come un matto, non hai appetito? -.
– Mamma, ho deciso, tra due settimane parto per il Tour –
– Parti per il Tour?! –
– Parto per il Tour –
– Anzi, e sai una cosa? Dirò a tutti che ci vado solo per onorare la corsa, ma dentro di me so che invece posso vincerla, che forte come quest’anno non sono mai andato. E poi, detto tra noi, di partire per fare bella figura come quando ho vinto all’ Alpe d’Huez l’anno scorso o tre anni fa poco mi interessa. Se parto, io poi voglio tornare da vincitore della classifica generale, con la maglia gialla, e soltanto lei. Bella come il sole, calda come l’estate, forte come il vento. Che qui a Cesenatico voglio fare un casino che non si è mai visto. Anzi, guarda mamma, pensate per tempo ad una bella festa. Voglio che prepariate una kermesse coi fiocchi, mi raccomando, quando torno vi voglio tutti sul lungomare Carducci a sfilare in bicicletta vestiti di giallo e poi baldoria per una settimana di fila, prima però devo soffrire, fino quasi a farmi del male – (…)
Da “Il Carattere del ciclista” – il mio nuovo libro in uscita per UTET ad aprile 2016
Foto: sfogliando le pagine di Rouleur 38, numero speciale dedicato a Marco Pantani