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Quella strana idea di Ciclismo.
Di cosa parliamo quando parliamo di Ciclismo.
Esce la versione internazionale di Soigneur, rivista di ciclismo nata in Olanda nel 2012 con l’idea di creare un magazine indipendente che celebrasse la cultura del ciclismo.
Ecco “celebrare” e “cultura del ciclismo”, parole che mi piacciono molto. Espressioni che si ritrovano quasi identiche nel sito di Rapha che “vuole celebrare la fatica e la bellezza del ciclismo” attraverso l’abbigliamento. Un abbigliamento che non fosse più tutine fluo con scritte improbabili, ma maglie e pantaloncini affascinanti ed eleganti.
Le parole più indicate per parlare di ciò di cui parliamo quando parliamo di ciclismo sono dunque queste: celebrare e cultura. Celebriamo un mondo. Ormai pedalare non è più solo un fatto sportivo, diciamocelo. Complice la moda, il successo del mezzo bici in sé, la riscoperta dell’epopea degli anni d’oro, la parola “sport” comincia ad andare stretta al ciclismo. Di fatto è diventato, o è tornato ad essere, quello che deve: un mondo. Dunque anche Cultura. Non ce ne vogliano gli altri sport.
Be Inspiring.
E allora l’arrivo internazionale di una rivista come Soigneur, prima relegata all’Olanda, ora aperta al mondo, credo sia un bel segnale. Sulla scia di altri magazine già affermati, come il britannico Rouleur, o l’americano Peloton Magazine, Soigneur si candida a diventare a tutti gli effetti una nuova fonte di ispirazione per i palati più sopraffini del pedale. Gente che crede che pedalare non sia solo uno sport, ma un autentico modo di essere, che va, per l’appunto “ispirato”. Altra parolina magica. Con tutto ciò che ne consegue. A partire da pretese sempre più esigenti per ciò che si legge e ciò che si guarda, non solo ma anche per l’oggetto che si sfoglia, che deve essere gradevole, ben confezionato (bestemmia!) e curato in ogni dettaglio. Dunque, articoli sempre più approfonditi, possibilmente scritti da penne di livello (Rouleur fa scrivere degli scrittori non dei correttori di bozze), e poi foto belle. Foto capaci cioè di emozionare, raccontare storie, mettere voglia di appendersele in camera.
Italia ronf ronf.
Il paradosso è che poi spesso queste riviste finiscono per avvalersi di collaboratori nostrani. Vedi il caso di Paolo Ciaberta, formidabile fotografo, che si è aggiudicato diverse copertine di Rouleur (a proposito, è attualmente in lizza per il premio miglior foto dell’anno).
E noi che ce li abbiamo qui? No, noi non siamo capaci di valorizzarli. Non siamo ancora in grado di raccontare quel ciclismo lì. Di rendere affascinante quello che a tutti gli effetti è diventato un mondo. Anche se in realtà, ce l’abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni: la metà degli articoli del primo numero di Soigneur è sul ciclismo italiano. Allora domando, non potevamo scriverli noi? Non potevamo pensarla noi una rivista internazionale? In grado, dall’Italia, di parlare al mondo?
Cosa ci succede? se si esclude qualche eccezione, come Cycle Magazine, che però fatica ad affermarsi, l’Italia sembra sempre seduta e in attesa. Quasi le cose le fossero dovute. E poi guai, se qualcun altro mette la freccia.
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