L’uomo con cui vorresti pedalare.

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Dopo l’uomo con cui prendere un birra, l’uomo con cui vorresti pedalare.
Breve parentesi: introduco qui un nuovo progetto, una piccola galleria di caratteri del ciclismo. Una Hall of fame personale di altarini sacri, personaggi che, nel bene e nel male, mi han raccontato una storia. Kings of pain, eroi della sofferenza, storyteller di questo sport maledettettamente unico. Piccole schegge impazzite che, per merito o per demerito, hanno contribuito a farmi innamorare del grande carrozzone pedalante. Fino a farlo diventare, come si diceva, uno strumento personale di ricerca e di relazione con il mondo.
Esagero? Boh, non lo so. Vedremo. Intanto ecco a voi la mia Hall of fame delle endorfine. “Quelli che ma chi te lo fa fare?”
Ecco, si diceva, dopo il diavolo, l’acquasanta. Dopo Lance Armstrong, Bradley Wiggins. Oddio, acquasanta mica tanto.
Capiamo perché.
Vincitore del Tour de France 2012 e primo britannico a portare la maglia gialla sugli Champs Elysées, oro alle Olimpiadi di Londra, primo gradino nella cronometro ai Mondiali 2014. Di più, Bradley Wiggins è stato nominato niente popò di meno che baronetto da sua maestà la regina Elisabetta, oggi sfoggia un fisico asciutto da far paura, 71 chili per 190 cm, e ha in testa tanti progetti bellicosi per il futuro.
Fin qui tutto bene.
Ma queste sono bazzecole.
Già perché Bradley, Wiggo per gli amici, è un chitarrista rock che nasconde un passato da alcolista alla Joe Cocker. Un Mod militante fuori tempo massimo, uscito direttamente da Quadrophenia. Un amico intimo di Paul Weller, capace di sfoggiare come nessuno basette glamour rock e tatuaggi da front-man anni Settanta. Il colore dei capelli, perennemente spettinati per non dire spennacchiati da chi si è appena alzato e la barba un po’ incolta che ricordano Johnny Rotten prima maniera o Liam Gallagher ultima.
Non stiamo parlando di un ciclista come gli altri. Stiamo parlando in un personaggio bello dentro e bello fuori.
Bradley Wiggins si fa intervistare volentieri, parla amabilmente di musica, di cultura e dei suoi trascorsi alcolici, di depressione e di rinascita sulle due ruote. Uno sponsor vivente del nostro sport.
E poi è capace di raccontarti storie incredibili: tipo le pinte che si beveva in una sera al pub, ma anche le mattonelle di una Roubaix che lo ha stregato. Fino a diventare un’ossessione: è questo il grande obiettivo di Sir Brad per il 2015. Arrivare solo nel velodromo più agognato al mondo. Pare che subito dopo, infatti, divorzierà dal suo amato Team Sky.
Del resto le pietre scivolose della foresta di Arenberg lo avevano già visto protagonista un anno fa: uscì dalla selva con le basette meravigliosamente impataccate di fango e la polvere su quegli occhi che però da allora brillano di un azzurro più intenso.
Avevi visto la luce, Brad, vero? Avevi lo shining.
Chi te lo fa fare, Wiggo? Gli chiesero allora.
“Ho bisogno di darmi sempre nuove sfide, se no non vivo bene” rispose serafico.
Come non amarlo?
Lascerà il Team Sky, dicevo, ma che importa? Con quei mattacchioni di Rapha ha già messo in piedi il suo brand personale e il suo futuro team. Non solo un ciclista, un’icona, un modo di essere. Come dicono loro, gli Inglesi, qualcosa di “inspiring”. Diverso da tutti gli altri ciclisti. Capace di ridonare alla pedivella tutto il fascino che merita. Quell’aura fatta di storie maledette e affascinanti che da Merckx a Pantani, a Indurain, corre come un unico filo rosso cucito sulle maglie.
Come non voler pedalare con uno così?