Esco a fare un Giro.

Avvertenza: questo è un post per chi ama questo sport.
Astenersi quelli che “ma chi te lo fa fare?” in compagnia con quelli che “sono tutti dei dopati, come fai a guardarlo?”
Per Diana, prendiamoci in Giro.
Anzi, perdiamoci nel Giro.
Quello che sta per iniziare. Sabato, in Danimarca (in Danimarca?!), per la precisione.
E allora capita che il sottoscritto si senta in festa. Come accadeva una volta in ogni paese toccato: la gente non pensava che a una cosa “Passa il giro”. Il resto veniva meno.
Dicono che quel Giro sia morto. Mi domando se invece, più semplicemente, non si sia limitato a cambiarsi d’abito. Assentandosi su qualche tornante. E non possa risorgere da un momento all’altro, con un decollete paura. Cogliendoci tutti distratti e impreparati.
Ma dicono che m’illudo. Che quelle immagini lassopra, dove Sergio Zavoli (sì, lui quello de “La notte della Repubblica”) inseguiva in motocicletta i gregari per intervistarli ansimanti in salita, o a perdifiato in discesa, o controvento in pianura, sono vecchie e decrepite. A me pare che siano attualissime: immaginatevi Cassani che insegue Pozzovivo o Gasparotto sui tornanti dello Zoncolan, e gli chiede che effetto gli fa?
Zavoli carpiva le emozioni dei corridori in medias res, fotografava la loro ingenua, tenera sofferenza. Quella che li rendeva umani. Quella che, mi dicono, oggi non torna più (anche perché non si può più intervistare i corridori durante la gara: lo vieta il “regolamento”, lo stesso che impone radioline e cardiofrequenzimetri come se piovesse).
Ma io non sono un nostalgico. Amo e pratico il ciclismo oggi. Non ieri.
So che emozioni si provano nel farlo: so che quei corridori di oggi le provano ancora. Basterebbe affiancarglisi mentre pedalano in salita per averne la prova.
Già. Io sono testardo, credo che quel Giro torni ancora. Basta volerlo.
Perché, in fondo, dipende anche da noi.
Già. Avete capito bene.
Forse quel che manca, forse, è anche la voglia di guardarlo e, soprattutto, di raccontarlo questo Giro. E invece non lo si lascia nemmeno parlare.
Ci mancano un po’ le parole: siamo tutti imbevuti di paura e lo nominiamo con una sorta di ritrosia, se non, addirittura, di vergogna per le vicende di doping.
Già, ma io mi domando che cosa altro era la famosa “bomba” di Coppi e Bartali? Acqua e integratori salini?
Eppure… eppure allora le parole c’erano. E che parole.
Erano quelle di Brera, Vergani, addirittura Buzzati.
Scrittori, non cronisti.
Eppure, come dice Rapha, è paradossalmente forse proprio oggi che la sfida si fa più affascinante, come salire sui tornanti dello Stelvio da Prato. La sfida di “Riscoprire l’antico spirito del ciclismo”. Ed ridonargli la bellezza.
Ritrovare in quella disciplina così antica, non solo uno sport per robot dopati, ma anche un gesto epico, desiderabile, esteticamente poetico e bello.
Qua lo dico e qua lo nego: io quando pedalo, mi piaccio un sacco. Mi sento un figo. Come un surfista sulle onde del Pacifico.
Riscoprire la bellezza, leggera e statuaria allo stesso tempo, della fatica. E il piacere di farla, la fatica. Questo l’obiettivo alla nostra portata. Ne vale di un intero sport.
Lo spiega bene, non solo Rapha, ma anche un bellissimo libro, che sto leggendo ora, guarda caso anch’esso d’oltremanica: “Pedalare!” di John Foot. Una piccola storia del ciclismo italiano, che racconta con tenerezza un gesto, solo apparentemente dimenticato, in realtà attualissimo, pronto a ripartire dietro l’angolo (per la cronaca: sabato a Roma per #slavaciclisti, 50.000 biciclette).  Ma soprattutto un libro che dice una cosa semplice: che quel gesto, il ciclismo, è “bello”. Bello esteticamente, foriero di storie da raccontare e di immagini da dipingere.
Quello che manca non è il gesto. È la capacità di raccontarlo. E di vederlo.
Fino ad oggi siamo statu tutti più pigri, non abbiamo avuto la voglia di “fare la fatica”: prima di tutto quella intellettuale e creativa.
Per questo siamo rimasti a provare nostalgia per un tempo che non è più.
Ma basta poco perché si prenda una nuova strada.
Anzi, l’abbiamo già presa.
Cosa? Mi illudo, dite?
Son convinto di no.
Scommettiamo? Intanto, vi invito a farvi un Giro.

PS: ah, mi sono dilungato troppo con un pamphlet sbrodolone, mente voialtri morite solo dalla voglia di sapere dove sono andato ad allenarmi lo scorso weekend lungo?

Tranquilli: as always, vi lascio tutto qui e anche qui.