Dovere compiuto.

Abito da sera per la prima alla Darsena.

Era ora.
Di sporcarsi e inzaccherarsi come bimbi.
Sguaiatamente, tra le pozze, il ghiaccio e l’umidità assortita della bassa.
La mantellina Rapha Rain Jacket ha compiuto il suo porco dovere.
Io e il Pitone, come due cavalieri neri, usciti direttamente dall’incrociatore stellare, abbiamo messo in saccoccia la prima boccata d’ossigeno dopo un mese (un me se!) di stop.
Mai successo da quando poggio il mio deretano su una SMP che non uscissi per un mese intero.
Prima il Burian, poi il Blizzard e poi sai il diavolo cos’altro, hanno preoccupantemente tardato l’inizio della preparazione alla stagione Montser.
Temperature siberiane protattesi oltre il limite dell’umana sopportazione.
Giornate passate chiusi in casa con la faccia schiacciata sulla finestra umida, che si appannava.
Timidi tentativi di procurarsi endorfine con inultili surrogati: rulli, running, piscina. Un disastro.
L’effetto dura troppo poco. Come un’aspirina per un febbrone da cavallo.
La magia dell’aria aperta, dei colpi di pedale che riprendono, il suono dei pignoni, il cinguettar del Naviglio (per altro, in gran parte, ancora ghiacciato) son ben altra cosa.
Niente li può sostituire.
Lo sport out-door ne rifila 5 a quell in-door.
Con buona pace dei centri fitness e di quei teneri energumeni che si dannano l’anima nella pausa pranzo su tapiroulant, uno a fianco all’altro, sudando come bovini stipati in un carro bestiame.
Era ora di queste sensazioni. Non ne si poteva più.
Morale: quasi 90 km di agilità e chiacchiere, qualche allungo non di più, quasi tutti con il 34X17.
Ritmo blando e da “ripresa” nei primi 50, un po’ di forza nella seconda parte.
la Rain Jacket Rapha che vedete lassopra indossata dal sottoscritto ha fatto la sua porca figura.
Uno spettacolo: perfettamente attillata e aderente; niente pieghe, niente sbatacchiamenti da mantellina decathlon al vento.
Una bomba autentica.
Vedersi riflessi nei finestrini delle auto, mentre si sfreccia silenti tra goccioline di rugiada e macchie di fango lungo l’Alzaia, con indosso quella roba, è una libidine difficilmente provabile altrimenti.
Si plana rapidi così su Boffalora, dove il tempo di un caffè, nero bollente, fa riassaporare vecchi riti.
Piccoli gruppi di ciclisti cominciano timidi a ripopolare il parco del Ticino. Sembran’ strani animali usciti dopo il letargo.
Ma siamo maturi, non siamo più quelli di un tempo. Non siam più tra coloro che scorrazzano sul naviglio e s’accontentano.
Siamo in missione per conto di Dio.
Io e il Pitone ci si guarda allora, basta un non nulla.
Un battito di ciglia e ci si dice che mancan meno di 3 mesi alla NovecolliMica si può accontentarsi di queste briciole pianeggianti.
La fame cresce, la voglia di dislivello comincia a bussare alla porta.
Il ritmo risibile tenuto ieri, dunque, per quanto bello e piacevole, dovrà per forza di cose lasciare il posto al dovere.
Le tabelle di allenamento da qui all’estate mettono paura. Non si scappa.
È uno sporco lavoro.