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Portatemi via.
Portatemi via va, che ne ho bisogno.
Portatemi via perché questa volta l’ho combinata grossa.
Portatemi via, perché sono da curare.
Portatemi via, prima che sia troppo tardi.
Volete che ve la racconti?
Bene. Una birra, per dio. Si parte.
Qualcosa come 10.000 metri di dislivello suddivisi in due sole trance e sette giorni.
Qualcosa come 11 ascese mitiche, una in fila all’altra.In 7 gio-rni!
Qualcosa come preparare Giro e Tour assieme. Dal lunedì al sabato.
Qualcosa che si chiama Maratona dles Dolomites + Marmotte.
Ecco, l’ho detto.
Dagli Appennini alle Ande. Cioè, voglio dire: dalle Dolomiti alle Alpi Francesi.
Dal Giau al Galibier, da Chiappucci a Pantani, passando per Indurain. Dal Giro al Tour. Tutto in sette, fottuti giorni.
I sette giorni più lunghi di sempre. Fatti per maciullar polpacci e caviglie, togliere sangue nelle vene, farne scorrere di nuovo.
La malattia è ormai a livelli inguaribili, la perdizione conclamata, l’ossessione paranoica. Gavia, Mortirolo, Giau, Stelvio: non c’è più limite. È definitivamente saltato il tappo. Quello di un antro diabolico, una fucina in cui ricordi di un avo che fece vette strerrate si mischia al carbonio e al reggisella integrato di una Cinelli ultramoderna. Un fucina che si autoalimenta a suon di duemilametri e imprese funamboliche da gargantua del dislivello. Un luogo per esperimenti sul proprio corpo e sulla propria mente. A veder fino a dove si può arrivare. A giocare a chi ne ha di più. Come da bambini.
Il tappo è saltato amici miei: ne voglio sempre di più.
Più ne faccio, più ne ho bisogno. Più mi faccio più ho bisogno di farmi.
Di stupefarmi, di crogiolarmi lungo una discesa alpina, sui tornanti dell’ottovolante dei sogni del Gardena, lungo le rampe incantate dell’Alpe d’Huez.
Pensare oggi che in sette giorni le mie retine e i miei copertoncini faranno i conti con Pordoi, Giau, Sella, Galibier e Alpe d’Huez mette i brividi. Mette paura. Incute rispetto.
Ma, vivvaddio, un’eccitazione da farsela addosso.
Che scorpacciata, amici miei.
Le prime due del duemiladodici sono già cariche nella mia pistola Zen. Se si aggiunge l’immancabile Novecolli in quel di maggio inoltrato, direi che la stagione comincia ad assumere carattere da ossessione paranoide.