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Mascalzone ladino.
Mascalzone, mascalzonaccio che non sono altro. Ve l’ho fatta sotto il naso.
E voi non ve ne siete manco accorti.
Allora, innanzitutto, le scuse.
Ritardo ingiustificabile, un mese secco a secco non ve lo meritavate. No. Proprio no.
Mi cospargo il capo di Chante Claire.
Ora mi faccio perdonare.
State a sentire.
Il ciclistapericoloso è per sua natura “Non pago”. E così è tornato sul luogo del delitto alto-atesino. Quello della Maratona dles Dolomites.
A dire il vero non propriamente nella medesima dislocazione orgrafica e geografica.
Qualche chilometrino pù in là. O più in qua. A seconda di come la si voglia guardare.
Bando alle ciance.
Il mascalzone, base Canzei, ha tagliato un altro scalpo storico. Il più ostico, il più prestigioso, il più duro del suo palmares. Il Passo Fedaia. Da Caprile.
Una domenica di fine agosto, 7:30 del mattino, 8° cenitgradi appena, in una Val di Fassa fatata e ancora addormentata, egli ha mosso i primi, incerti, colpi di pedale e da Canazei s’è diretto al primo bivio. Clamoroso vedere tanto ben di Dio segnalato in un unico cartello: Passo Pordoi, Passo Sella, Passo Fedaia. Stessa direzione. Secondo Bivio: a sinistra Sella e Pordoi, a destra Fedaia.
Egli piega a sinistra: sale il Pordoi, docile. I primi tornanti sono in comune con il Sella, poi un terzo bivio, spinge verso il mostro sacro coppiano. Stavolta dal versante opposto a quello affrontato durante la Maratona. Sono 800 m. di dislivello, metro più metro meno. Ma van via bene. Come un sorso di latte appena munto.
Gli ultimi tornanti sono allo scoperto, dopo i 2000 m., laddove il verde non osa. E di nuovo egli si sente a casa, mano mano che il massiccio dolomitico e le bastionate del gruppo del Sella – cuore di questa pasticceria unica al mondo che sono le Dolomiti – gli si paran davanti. È a casa. Qui (e solo qui) il pericoloso si sente sé stesso. Scollinati i 2239 m. del Passo Pordoi, davanti al Sass Pordoi e al Piz Boè, con la funivia che sale incastonandosi nella Dolomia, egli plana verso Arabba. D’ora in avanti il cuore dovrà farsi da parte, e il coraggio prendere le redini della pedivella.
Ad Arabba, il sole è già alto, lo spinge tiepido e luminoso, incosciente, verso un nuovo destino. Egli accarezza come un missile gentile tutta la valle di Livinallogno. Agguanta Pieve e volta a destra per Caprile. Seguendo la vecchia stradina, tra paesini poveri e belli, come Salasei di sopra, Digonera e Salasei di sotto. Paesini che non compaion manco sulle mappe. Come una volta.
Legna accatasta con passione, in attesa dell’inverno. Balconi in fiore. Viola, gialli, rossi. In terra ladina, non v’è un davanzale, un affacciarsi che non sia fiorito. Balconi stracolmi di fiori d’ogni sorta, dalle cromie ardite e accesissime.
Il cuore pulsa. L’attesa – covata un’estate – sta per aver risposta alle molte domande.
Come saranno i Serrai di Sottoguda? Cosa succederà dopo Malga Ciapela? Come sarà il famoso “drittone” di “Capanna Bill”?
Nomi da Far West. Da sfida all’ Ok Corral. Nomi da Cormac Mccarthy, famigerata penna cruda di canyon e vallate aride.
Ma qui siamo sulle Dolomiti, ai piedi di quella cosa stratosferica e incontenibile che è la Marmolada. Una cosa, ragazzi, che vi prende, vi mette al tappeto gli occhi e il cuore e poi ci passa sopra tre volte, prima di lasciarvi andar via. La montagna incantata per eccellenza. Il suo luogo dell’anima. Ma andiamo con ordine. Siamo a Caprile. Cominica l’ascesa al Passo Fedaia. Comincia il mistero.
I primi chilometri sono lisci come l’olio, si attraversa Rocca Pietore e si giunge felpati a Sottoguda. Piccolo comune veneto dell’Agordino, a due passi dal lago di Alleghe, ove il pericoloso passò un inverno con i genitori. Era piccolo. Lo volevano sciatore. Non sapevano di averne uno che invece voleva andare in salita.
Si lascia la via principale per il Fedaia, e s’entra da quella secondaria, dimentica. I Serrai di Sottoguda. Una stretta gola tra rocce a capofitto, scavata dal fiume, che cola come gelato direttamente da Lei. Sua Maestà – perché è intrinsecamente femminile – La Marmolada. I Serrai di Sottoguda sono chiusi al traffico: li si sale a piedi o in bici, ma in un solo senso. Un blando trenino conduce i turisti, come Caronte, lungo questo tratto verso l’ignoto. La bellezza dei Serrai è dunque prettamente dantesca. Cascate che colano a picco dall’alto, come enormi docce fredde, impetuosi massi incastrati tra le pareti rocciose. La strada s’inclina via via che si procede. Il finale è un assaggio al 12% di quello che verrà.
Si chiude il sipario sui Serrai, s’esce allo scoperto. Siamo nei pressi della malfamata Malga Ciapela. Il Bronx dello scalatore. Pieno di famigerati crampi a ogni angolo. Il luogo dove lasciare ogni speranza. E ascoltar unicamente la “Forza”.
Sono pochi i cavalieri Jedi che s’avventurano qui. Ma ci sono. E il pericoloso, l’ha capito, oggi è uno di questi. Deve esserlo.
Una leggera curva, dopo la partenza di una funivia, apre un rettilineo di 3 km, con pendenza, media, del 12%. Punte al 16%-17%. Avete capito bene?
Ecco. Il cavaliere Jedi va avanti, non riesce a non guardare davanti. Questa incredibile linea d’asfalto in pendenza, ai piedi del ghiaccio.
Sale a buon passo. Non scende sotto le 60 pedalate al minuto. Va su agile, ce la fa.
Senza quasi che gli paia vero, agguanta Capanna Bill. Rifugio per forestieri del West ladino.
Come un miraggio, gli appaiono i tornanti.
Si rifiata, pensa. Povero illuso.
Voltata la prima curva, un cartello gli si para davanti: pendenza 15%.
Già, e finora cos’era?
Secondo tornante, e il Rox non scende da 4 km sotto l’11%. E non ha la minima intenzione di farlo in futuro. Una raffica di rampe taglienti, con tornanti ove è semplicemente impossibile rerspirare, accompagna alla vetta. L’ultima rampa è un tuffo al cuore. Si tocca il 18%. A bordo strada, ciclisti fermi boccheggianti. Il cavaliere Jedi non si scompone. S’alza con calma sui pedali e d’un tratto gli sovvien quella frase che Pantani sussurrò, nella sua ingenuità di romagnolo al cospetto delle Dolomiti, al compagno di squadra Roberto Conti: “Quando inizia la salita?” .
E come in un songo, è la vetta.
La Marmolada gli si apre davanti, come una ricompensa fantasmagorica. Altri brividi lungo la schiena. Una bellezza faustiana. Forte, sovraffacente. La possanza della montagna con una sottile lamina di burro glassato sulla vetta. Un burro che d’anno in anno, si scioglie. E un giorno, ma non oggi, sparirà.
Oggi no. Oggi il burro si spalma sulle emozioni. Pane e Marmolada.
Ai piedi del pericoloso, il lago artificiale di Fedaia. Verde smeraldo. Da tuffarcisi dentro.
I duemilametri sono conquistati. Il cuore è curvo, ma gonfio. Gonfio di gioia e piacere. Non è solo bici. Fidatevi.
La discesa su Canazei è passata con lo sguardo all’insù. A non dimenticarla questa giornata passata ad amoreggiare con la Marmolada. La bionda sirena di tutti gli scalatori.
Mascalzonaccio che non son altro.
Percorso pericoloso: Canazei-Pordoi-Arabba-Caprile-Fedaia (con Serrai di Sottoguda)-Moena-Canazei.
Totale distanza: 93 km
Dislivello: 2.236 m.
Pendenza max: 18%