Il senso di Ishmael per la neve.

 

Navazzo, che freddo!

Navazzo, che freddo!

Buon anno. E buon freddo. Cazzarola.
Ishmael
è il nome della mia bicicletta. E’ nata nemmeno un anno fa, in quel di Caleppio di Settala, nella bassa milanese, presso il reparto maternità San Antonio Colombo in Cinelli. Il nome – Ishmael – è una citazione da Moby Dick, uno dei miei romanzi preferiti (periodicamente, a distanza di anni, lo rileggo, in un rituale compulsivo). 
Bene, Ishmael pare abbia un fiuto particolare per la neve. 
In questi quindici giorni irripetibili di vacanza, neve dappertutto. Compromessi gli stage di allenamento in vista della MdD, rischio addirittura di non montare in sella del tutto.
Ultima pedalata dell’anno ha data 27 dicembre. Un sabato. -3°. Pianura, 70 km, ed  è già tanto. Torno ibernato come Han Solo nella grafite.
La prima pedalata dell’anno e anche l’unica successiva data il 4 gennaio. Prima: neve, ghiaccio e ancora neve.
Siamo sul lago di Garda. Sponda occidentale.
Il 4 gennaio, domenica, mi alzo e la giornata è perfetta. Non una nuvola. Sole splendente. Temperatura ampiamente sotto lo zero. Neve e ghiaccio a bordo strada aumentano il rischio. Sono pericoloso, dunque esco sì. Ma non son anche cretino: esco alla 10:30. Quando ci sono ben +4°.
Mi “scaldo” con 20 km di pianura lungo la strada che costeggia il lago. Nessuno, solo centinaia di ciclisti, pericolosissime squadre di 20-30 membri con tanto di ammiraglia a seguito si succedono senza sosta. Mi sento parte di loro. Mi accodo a qualcuno. Qualcuno si accoda a me. Siamo come cani noi ciclisti. Ci si annusa, in caso ci si accoppia, in caso ci si respinge. 
All’altezza di Gargnano, salgo. E’ la mia salita, questa. L’avrò fatta un milione di volte. E’ facile, pedalabile, ma allena bene: 7,5 km al 5,5% di pendenza media (quest’estate la facevo 3 volte di fila per prepararmi al Sella Ronda). La salita va via bene, non spingo, siamo a gennaio occorre muoversi in agilità, ma vado su senza alcun patema. La condizione è sempre eccellente, devo dire. In cima, a Navazzo, scatto qualche foto, tra la neve e le fontane semighiacciate. Nulla di tutto ciò mi induce ad alcuna riflessione sul freddo. Che patirò di lì a breve. 
Il sole, mi pare scaldi bene.
Col cazzo. 
La discesa si trasformerà in un vero calvario. Tanto da farmi rimpiangere di esser salito. Giuro.
Il freddo arriva subito, come una lama. Entra dentro nei primi tornanti e non ti molla più. Altro che Windstopper Soft Shell e Gore Tex. Si gela e poche palle. 
Le mani si intorpidiscono rapidamente, nonostante guanti e sottoguanti.  Devi cercare di scendere pedalando. Evitare di stare fermo.
Impossibile: la strada è talmente piena di insidie per il maltempo dei giorni precedenti, che non puoi correre. Devi andare piano, freni quasi tirati, e zigzagare tra brecciolino, ghiaccio e neve, con occhi apertissimi. Una discesa – e per giunta sulla salita “di casa” – così non l’ho mai patita. Veramente dura. Negli ultimi tornanti le dita della mano sinistra sono anchilosate, non riesco quasi a riportarle dritte. Non so se per il freddo e per il continuo frenare davanti: tornano tese a fatica, con uno schiocco secco della mano. Mi fermo: è fatta. Non risalgo neanche a pagare. ‘Fanculo la neve, fanculo il freddo, ‘fanculo sto stramaledetto interminabile inverno. Ma quale diavolo di “Global Warming”? Qui non si riscalda niente. Mi rifaccio i venti chilometri di pianura di prima, al sole, a bordo lago. A Maderno, leggo il termometro del paese: siam saliti a +5°. E’ mezzogiorno, ma io sono in ibernazione cataonica. Il freddo patito, scendendo dal Navazzo, non me lo scrollerò più di dosso. Tutt’oggi mi pare di avvertirne le lame penetrare.
E nevica ancora.  

 

Totale distanza percorsa: 70 km.
Dislivello complessivo: 900 m. ca
Salita principale:  Navazzo (da Gargnano) BS, 7,5 km, 500 m. di dislivello.