Il Giro più bello.

7-29 maggio 2011. Segnatevi queste date.

Dal 7 al 29 maggio 2011, chiudete per ferie.

Tralascio il raccontarvi un nonoisissimo 80 km di pianura. Sabato mattina. Io la odio la pianura dell’Illinois.
E invece passo a raccontarvi la bellezza perduta del prossimo Giro d’Italia, presentato ieri. A mio modestissimo parere, forse, il più bello di sempre.
Perché?
È presto detto.
8 arrivi 8, dico, secchi in salita. Oltre 24.000 m. di dislivello totali. L’Etna, il Glossglockner, lo Zoncolan, il Gardeccia in Val di Fassa, Il Giau, il Fedaia da Carpile, il Nevegal, il Sestriere, Macugnaga. Una bomba. Per tacere della crono finale a Milano (partenza da Piazza Castello e arrivo in Piazza Duomo) che potrebbe ancora sconvolgere le carte, oltre il novantesimo.
Per uno scalatore,  scusate, una meraviglia. Da gustare con gli occhi agganciati al tubo catodico, senza staccarli mai, dal 7 al 29 maggio.
Non ci sono campioni? Frega niente. È la corsa che si guarda, mica i ciclisti. È lei, hegeliano concetto che ignora le sue manifestazioni accidentali, nel suo inesorabile divenire, a essere la protagonista assoluta. C’entan’ niente, loro, i ciclisti. Già, perché Lei, la Corsa, ruba la scena a tutto il resto. In questo incedere impetuoso di dislivello, che è l’edizione 2011.
Un tracciato che fa venir voglia di montare in sella e farselo tutto, con un giorno d’anticipo. Come Guillaime Prébois, il giornalista-ciclista di Le Monde.
Non ci sono i nomi, non ci sono i singoli ciclisti di oggi. C’è tutta la corsa, quelli di ieri mischiati a quelli di oggi, in un Giro così. E noi guardiamo quello. Uno spirito che va oltre gli atleti.
Uno spirito che parla di Malga Ciapela, dove sono stato due mesi fa, di Giau e di Etna. Di mostri sacri e mostri inediti. Il Glossglockner su tutti. Un nome che fa paura solo a pronunciarlo. Di vulcani e di salite infuocate. Di sterrati e di asfalto. Di lacrime e sudore, paura e incertezza. Freddo, caldo, neve, sole, nebbia che s’apre in uno squarcio di cielo azzurro. Così, d’improvviso.
Ah, signori miei, questo Giro mi fa perder la testa. Innamorato pazzo del mio sport, maltrattato e odiato. Rattoppato e avvilito.
Schiacciato dall’ennesimo, ovvio, che c’è da stupirsi, caso di doping. Contador che bella favola? Chi ci può dire di averci mai creduto, onestamente?
Eppure, eppure proprio dal baratro più profondo, dalla voragine dantesca in cui sembra esser sprofondato (e dove forse, siamo onesti, c’è sempre stato), partorisce – così, all’improvviso – questo mostro fantasmagorico. Carico di poesia e sogni, che chiama al televisore.
Ah, state certi: io a questo Giro 2011 mi ci incollo. E non mi stacco.
M’incollo a lui, alle sue strade, alle sue montagne – stupende -, ai suoi gironi infernali, alle sue discese vorticose e mozzafiato. Ai suoi dirupi scoscesi, alle sue malghe, ai suoi ghiacciai, ai suoi pascoli montani. A loro. E a loro soltanto. Non ad altro.
Viva la corsa. Fanculo il resto.