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Da Madrid a Cesenatico, passando per Twin Peaks.
Mercoledì, ore 21, l’Inter per sfuggire al vulcano dal nome impronunciabile, decolla da Malpensa alla volta di Madrid. Dove l’attende il suo destino.
Venerdì, ore 14, il ciclistapericoloso parte con auto stipata come carro bestiame, alla volta di Cesenatico. Il Barbotto lo aspetta.
A ognuno la sua impresa.
Questo sarà il parallelismo autistico che dominerà il mio weekend di passione. Non so cosa succederà, non so come tornerò. Nel bene e nel male, però, sarà uno spettacolo.
Mentre Mourinho con flemma e coraggio, cercherà di infondere calma e passione ai suoi– Leggasi: è un sogno, non un’ossessione – il ciclistapericoloso si dà alla preparazione finale nelle lande brianzole, cercando di auto infondersi convinzione che la pedivella conta di più.
È come se pensassi che più mi concentro io, più si concentrerà la mia squadra del cuore. Ognuno deve fare il suo compito. Anche io, in fondo, giocherò nella stessa squadra.
Ci sono momenti che sono figure dello spirito hegeliano. Materializzazioni di stati “necessari” che vanno al di là dei loro singoli protagonisti e delle latitudini in cui essi si vengono a trovare.
Io e l’Inter siamo una cosa sola. Una sfida ci guida in perfetta sincronia.
Ci separano solo poche ore. Loro alla sera. Io l’alba del giorno dopo.
La tensione, la concentrazione, la passione, le stesse.
Come un Armstrong de noantri, ecco allora che il ciclistapericoloso si alza presto, e si tuffa nella galleria del vento della Brianza, un martedì qualunque.
Eroe nel vento, agguanta in poche pedalate il drappello di amici fidati. Ci sono il gelataio, l’autista 1 e l’autista 2.
Si parla, si scherza, ma per poco. Le rampe di Cagliano preannunciano una giornata di pendenze over 10%. E la scoperta del Colle che non t’aspetti.
Il versante di Cagliano l’avevo provato una volta sola l’anno scorso. E soprattutto, non avevo provato il suo naturale proseguimento, fino al paese fatato, immerso nei boschi, di Campsirago. Un nome impronunciabile. Quasi come il vulcano che ha anticipato la partenza dell’Inter. Segni della figura dello spirito di cui sopra.
A Campisrago si arriva, proseguendo oltre le rampe al 19% di Cagliano. Voltando a destra, dopo una bellissima fonte paesana. Ci si addentra in un bosco fitto. Non si vede quasi il cielo. Rami, rovi, arbusti. Uno scenario di pura selvaggezza, a due passi da Lecco. È la nota salita del gelataio. Nel senso che a lui si deve l’onore della scoperta. Ed è il gelataio a condurci, cavaliere indomito, a colpi di pedivella per le lande nascoste di questa brughiera lombarda. Fino alle propaggini di una surreale Twin Peaks padana. Campsirago, per l’appunto. Là dove il Colle non si mostra agli sguardi indiscreti. Chissà quali leggende, quali storie da fiction televisiva si celano dietro le sue piccole, spoglie mura. La strada qui finisce. Siamo a quasi 700 m. sul livello del mare. Ma lontani, portati via da una Laura Palmer sconosciuta, con accento lecchese.
Qui ci separiamo. Io ridiscendo e riprendo il Colle da Castello, proseguendo, as always, per Giovenzana e affondo il pedale in un’orgia di pendenze mortiroliane. Finale in favor di vento, fino all’auto. 3 ore secche. Giusto una in più di quelle che ci vogliono per volare a Madrid.
Totale distanza: 70 km
Dislivello: 1.387 m.
V/M: 23,03 km/h