La battaglia di Maratona – Atto II.

Valparola. 2000 m. sul livello delle parole.

Valparola. 2143 m. sopra il livello delle parole.

A Corvara prendo a risalire il Campolongo, seguendo il bivio per il percorso medio e lungo. Il cuore palpita. So che da questo momento in avanti dovrò compiere il mio destino.
Si apre la valle di Livinallongo davanti a me e poi l’ascesa al Falzarego e al Valparola.
Una montagna intrisa di storia. Quella delle grotte, dei rifugi, delle trincee della Grande Guerra. E mentre la sali, lo senti. Percepisci che c’è qualcosa di diverso dagli altri passi fatti. Senti che c’è più silenzio e, paradossalmente, ti fai piccolo. Sono 12 km di fatica. I cui ultimi 2, quelli che dal Passo Falzarego conducono al Valparola sono, forse, i più belli che ho fatto finora in bicicletta. Tra guglie acuminate e ghiaioni lunari, niente vegetazione. Un rampa dritta al 10-12% che pare interminabile. E prima: la galleria, bocca aperta di coccodrillo, che porta su un piccolo tratto senza protezione, dove un cartello avverte: “Pericolo caduta, prestare attenzione”. Brividi, pelle d’oca, mi sento parte della storia. In alto, vedo una fortificazione:  della prima guerra mondiale. E’ Il Forte Sasso di Stria. Mai ultimato, ma chiaramente visibile, con le sue postazioni e le feritoie per i fucili. Salgo ignaro di tutto e mi godo questo spettacolo. Scoprirò poi, in rete, questo grondare di storia. Non c’è altro in questa ascesa: i primi 9 km nel bosco di abeti, con il cielo che incappuccia la cima di nubi pericolose. E poi i ghiaioni e la roccia acuminata, il silenzio e il vento del Passo. E’ diverso dagli altri 4: qui non ci sono case, non ci sono impianti di risalita, si incontra solo la strada che sale da Cortina d’Ampezzo, l’altro versante. Noi siamo saliti invece da Cernadoi. Il rifugio sul passo è piccolo e umile, non ha la maestosità di quello del Pordoi o la grazia fatata di quello del Sella. Pare lasciato lì in rispetto a questo muro di storia e di selvaggezza. Ti senti solo, a contatto con le Dolomiti, sul Falzarego. Si volta a sinistra: ultima fatica per guardagnare il Passo Valparola che mette in comunicazione Cortina d’Ampezzo con la Val Badia. Nei pressi del Passo, c’è un piccolo lago, che però non vedo. Qui, una volta, c’era il confine tra Italia e Austria Ungheria. In mezzo a questi sassi, e a questo silenzio. E’ il GPM finale, passo la linea di rilevamento del chip, istantaneo mi arriva un sms che mi avverte del mio tempo sul Valparola. Manco fossi Indurain.  Mi infilo la mantellina, il cielo è ora interamente coperto. Fa freddo. La discesa sarà lunga: 14 km prima di riguadagnare San Cassiano e La Villa. Me la godo, senza timori, plano sui tornanti disegnando traiettorie rotonde e morbide. Penso a tante cose. La massa ormai si è dileguata, il gruppo scremato e sezionato. Il Falzarego l’ho salito a un ritmo pazzesco. Credo sia una delle salite che ho fatto meglio in assoluto di sempre. Ritmo costante, agile, continuo, tornanti in fuorisella, sui pedali, indurendo di un dente. La discesa mi sembra una vecchia sciata riesumata dai miei ricordi infantili. L’ultima, quella prima della cioccolata calda al bar dello skilift, quando ormai sei stanco e felice, le gote rosse come ciliegie per il freddo: avverti già il tepore della baita e dell’arrivo, mentre gli sci caracollano leggeri sugli ultimi muri. La stessa cosa oggi in bicicletta, le stesse medesime sensazioni, la stessa rilassatezza e serenità dell’impresa che, ormai sai, si sta per compiere. Incontro qualcuno fermo in preda ai crampi: la discesa, con i muscoli che si rilassano dopo tanta fatica, è insidiosa. Io però stavolta non sento alcuna stanchezza, vado via liscio. Prima attraverso l’abitato di Armentarola dove la gente si è assiepata ad applaudire. Io applaudo loro: il vero spettacolo sono loro. Poi ecco San Cassiano, e quindi la rotonda che porta a La Villa. Gli ultimi 5-6 km, li faccio a tutta. E’ un falsopiano, i polpacci bruciano di fatica, ma non la sento. Dò tutto. Passo davanti al Garnì Miriam, dove 6 ore prima ho fatto colazione carico di emozione. Guadagno la Villa, mi sento il treno della Val Badia. Curva finale: non mi sono nemmeno tolto la mantellina dopo la discesa. Sono al traguardo. Un attimo di commozione leggera mi attraversa sulla linea. Sgancio il pedale, chiedo al mio vicino come è andata: è tedesco. Mi risponde semplicemente: “Schoen!” . E io, come nel “Faust”, vorrei fermarlo questo momento: “Fermati, sei così bello”. 
Mi avvicino all’area di arrivo e aspetto Mario.  
La salita è il mio pane, le Dolomiti il mio cuore. Stavolta ho vinto io.  
CONTINUA…

(foto: Cycling Challenge)