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Foratura mentale.

Pedalare è pensare. E viceversa.
Piccole considerazioni per-pasquali in libertà. Fuori dalla camera d’aria degli schemi.
Ieri, con Mario: 40 km di pianura, tra la una e le due e qualcosa. Lui in fissa, io col muletto. Lungo il Naviglio. Bello. Intenso.
Chiacchiere di due ciclisti, associazioni libere, flusso di coscienza che segue il ritmo dei pignoni. Agile all’andata. Contro vento. Di potenza, al ritorno.
Oggi sono 4 i miei colleghi che in 9 mesi ho convertito dall’auto alla bici. Rivincite.
Ieri ho ricevuto via mail dei complimenti molto speciali. Fanno piacere. Davvero. Me li tengo per me.
Scrivo perché mi piace, scrivo di ciò che mi piace. Lo faccio, senza false modestie, prima di tutto per me stesso. Inutile, e poi perché?, negarlo. In un secondo momento, scrivo per chi mi legge: gli amici che escono con me, cui invio il mio report al lunedì e quelli che non escono con me ma fanno il tifo per me. In terza, insperata, istanza, scrivo per qualcuno, chiunque sia e da dovunque provenga, che capiti qua perché le onde ce l’hanno portato. Non mi importa sapere chi è e come è. Se poi non è un ciclista, va ancora meglio.
Già, magari lo contagio. Magari lo diverto, magari si ferma un attimo a pensare. In fondo, come ha scritto quella persona, la bici e la salita sono allegorie: potrei qui star scrivendo di tutt’altro. E usare lo stesso tono. Insomma, se qualcuno per caso mi legge e ci si ritrova le sue “salite”, io sono contento.
In fondo, se parlassi solo di bicicletta che senso avrebbe?
Ora vado. Sono in partenza. La belva nel bagagliaio, i bimbi di fianco.
Voi, intanto, pedalate con la mente.