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Re del Viceré.
Davanti a queste facce da Armata Brancaleone in festa, in cima all’Alpe del Viceré, la paura mi ha salutato e se n’è andata per i fatti suoi. Là da dove era venuta.
Dice Nicko “La paura te la dimentichi. Fino alla prossima caduta”. Credo sia vero. E non ho voglia di pensare, al momento, a prossime eventuali cadute.
Cronaca: ieri, partenza ore 8:00 da Corso Buenos Aires. Io, Mario, Salvatore. All’altezza di Sesto, si aggrega Nicko67, che subito arringa la folla: “Stai sotto, Mario!”, “Buttate dentro il 50!”. Ci guida, mentore sapiente, attraverso la Brianza, a noi men conosciuta. Quella che piega verso Ebra e Como. All’altezza del bivio per Erba, infatti, voltiamo a sinistra e pieghiamo per Como. Abbiamo tenuto, a differenza delle solite partenze, un ritmo forsennato. Qualcuno ci aspetta al bivio per Albavilla, là dove attacca l’ascesa all’Alpe del Viceré (la vetta è posta a poco più di 900 m. s. l. m.). Poco prima di Albavilla, ecco infatti un misterioso uomo, griffato Assos dalla pedivella al casco. Occhiali Adidas, con lenti da vista arancioni, bellissimi: li voglio anche io!
E’ Emiliano. Il ciclista di-pendente per eccellenza. Quello che “La pianura non so cosa sia”. Leggete, leggete qui.
Una bella sorpresa: erano mesi che volevo conoscere e misurarmi con questo losco individuo, caduto da piccolo nel dislivello come Obelix nella pozione magica. Sento affine il suo spirito da cavaliere Jedi grimpeur, sento che da lui, dai suoi centiania di passi over 2000 conquistati in solitario, posso e devo imparare molto.
Dunque mi affianco a lui e cerco di scrutare la sua pedalata. Dopo Albavilla la strada si inerpica attraverso un fitto bosco, con tornanti piuttosto stretti. La pendenza è abbastanza regolare, non molla mai. E ogni tanto ha punte sopra il 10%. Procediamo appaiati e il fiato ci concede anche qualche chiacchiera. Emiliano dal suo ciclocomputer di bordo, mi dà pendenze, metri di dislivello, in tempo reale. Calcola quanto manca in termini cronometrici. Dice che stiamo tenendo una VAM (Velocità Ascensionale Media) di oltre 900 m: significa che in un’ora facciamo, a questa andatura, più di 900 m. di dislivello. La sua pedalata è armstrongiana: rapporto agile, anzi agilissimo, cadenza di pedalata alta e costante, nei tornanti indurisce di un dente e si alza sui pedali. Lo imito. Scopro che funziona: si risparmiano energie e si rilancia allo stesso tempo. L’agilità in salita alla lunga permette paradossalmente di tenere un’andatura più veloce che se si adotta un rapporto duro. Salgo, credo, con un 34X21. A volte, addirittura, 34X23 (monto un 26 dietro e dunque il penultimo pignone che ho a disposizione è appunto il 23). La salita è tutta costantemente nel fitto del bosco. Anzi: della foresta. Il paesaggio ha un che di medievale. Alberi dai rami che paiono mani di strega, tronchi come enormi occhi da orco. Il cielo è coperto, ma non fa freddo. Ho infatti optato per il “corto” (su saggio consiglio di Nicko). La pedalata di Emiliano non cala mai. Però gli sto a fianco, senza affanni. E in cima al Viceré ci arriviamo assieme. Arrivati in cima, dominata dal monte Bolettone, si incontra un’area adibita al picnic con un bar per il rifornimento idrico, per altro l’unico in zona (secondo consiglio utile del mentore di Cologno: “porta due borracce”). Sganciamo i pedali, Emiliano, pazzo incoscente, si toglie maglietta e maglia intima e si piazza torso nudo a quasi 1000 m. di altezza, senza un raggio si sole “per asciugarmi”.
A breve ci raggiungo Mario, Nicko e Salvo. Pacche sulle spalle, foto di rito. E quella sensazione di “essersi trovati”. Di avere uno spirito affine. Una leggera luccicanza passa per un istante attraverso gli occhi di tutti. Non capita spesso, non capita con molti altri sport, di sentirsi così fratelli.
Bene: bando alle ciance. E’ ora di scendere.
E qui la paura, la mia, riaffiora: il fondo stradale è veramente brutto. Pieno di buche, brecciolino e costantemente umido, per le piogge dei giorni precedenti. Appena sento la ruota posteriore sbandare impercettibilmente su un sasso, mi attacco ai freni e non li mollo più, fino ad Albavilla. Che fatica.
Giù mi aspettano gli altri: come fedeli cavalieri. E’ un bel momento, che mi resta stampato in testa,vederli fermi a scrutare in alto il mio arrivo. Sapevano tutti che era la prima uscita dopo la caduta e sapevano quanto fosse “delicata” per me questa discesa.
Salutiamo Emiliano, sicuri che ci si rivedrà presto e proseguiamo, lancia in resta, con rotta Milano.
Il rientro è alla solita velocità sufica e vorticosa. Questa volta senza più alcun timore. Tengo senza difficoltà i 40/h. Ci diamo cambi regolari. Tanto che a un certo punto, appena ci sfilacciamo, Mario e Salvo li perdiamo: tirano dritti alla rotonda, invece di seguire per Carate – Monza. Ma cambia poco: la pedalat è stata assai pericolosa e, ciò che più conta, intensa, lunga e in grado di lavare via tutti i miei timori. Come una meravigliosa e impetuosa doccia di benessere.
Tornando a noi e ai futuri impegni pericolosi: la condizione è buona. La gamba gira bene. dopo 110 km, non avverto alcuna stanchezza, tanto che potrei andare tranquillamente oltre. Le Neutron Ultra in salita vanno che è un piacere e il mozzo in carbonio vale la pena di avercelo anche solo per guardarlo.
3 laghi nel mirino.
Totale distanza percorsa: 109 km.
Dislivello: 1.000 m.
Tempo: 4 h
Percorso: Milano, Macherio, Inverigo, Erba, Albavilla, Alpe del Vicerè, Albavilla e ritorno.